Governo della assistenza sanitaria: il paziente al centro

Il nostro Sistema sanitario nazionale, per mantenersi al passo dei tempi ha bisogno di cambiare. L'onere del cambiamento però non può spettare solo a medici e dirigenti sanitari, deve per forza di cose ricadere anche sulla politica che invece negli ultimi anni si è fatta, nei confronti della sanità, solo portatrice di tagli lineari rallentando ancora di più il percorso di cambiamento del Ssn. Questo il tema cardine dell'Academy, il Governo della assistenza sanitaria il paziente al centro”, che presso la Sala Atti Parlamentari del Senato ha riunito esperti del Ssn e parlamentari.

L'evento organizzato da Motore Sanità per iniziativa e volontà del senatore Antonio De Poli ha posto i binari su cui sarà necessario muovere il Ssn per garantire sia oggi che nel futuro gli altissimi standard a cui ci ha sempre abituato la sanità italiana. “Oggi dobbiamo chiederci cosa fare per mantenere questo modello sostenibile – spiega De Poli – considerando la stagione dei tagli in sanità, gli aumenti dei costi dovuti all'invecchiamento della popolazione e all'aumento della cronicità. Serve un Piano Marshall per governare il cambiamento verso una nuova primavera della sanità italiana, partendo dall'integrazione tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale e da una proposta concreta come l'istituzione di un Fondo nazionale per le malattie croniche – prosegue il Questore del Senato – come già accade in altri Paesi europei. Bisogna sostenere la prevenzione, la formazione per contrastare la carenza dei medici e l'integrazione sociosanitaria per costruire una sanità che sia sempre più inclusiva e prenda il carico il paziente a 360 gradi. Per farlo bisogna invertire la tendenza demografica, sostenendo la natalità e le politiche sulla maternità. Quello che sta accadendo, negli ultimi decenni, ci sta portando verso un cortocircuito demografico. – ha evidenziato De Poli – oggi metà della spesa sanitaria nazionale viene assorbita dal 5% della popolazione anziana. Preoccupa lo squilibrio tra la popolazione over 65 (che è arrivata al 35%, una delle più alte in Europa), e la popolazione in età attiva che diminuisce perché si riducono le nascite (-15.000 bambini nati un anno).

Per far fronte al cambiamento c'è bisogno però anche di un cambiamento a livello istituzionale dell'approccio alla sanità, come sottolineato dalla senatrice Paola Binetti, componente della Commissione Igiene e Sanità. “In Senato molte questioni sociali sono in commissioni diverse, scorporate e suddivise quando andrebbero accomunate. È necessario – prosegue la Binetti – ripensare il modello organizzativo, senza però toccare i temi cardine: Universalismo e gratuità”. La Senatrice coglie l'occasione anche per lanciare due iniziative per la riorganizzazione: prendere una decisione chiara e netta della posizione che deve prendere il sociale tra regionalismo e nazionalismo e creare una piattaforma che permetta un coordinamento tra i differenti Piani Nazionali presenti in Italia. “Negli ultimi anni c'è stata una deviazione di molte azioni legate al piano sociale a quello sanitario, una scelta dettata unicamente dal taglio radicale dei fondi per il sociale, così per garantire determinati servizi – sottolinea – si è spostato dove è possibile trovare fondi cioè negli ospedali. Inoltre ad oggi, mentre la sanità è stata regionalizzata per il sociale ancora non si sa quanto della spesa sia proiettata sulle Regioni e quanto sul nazionale”. Ma anche li dove esiste una organizzazione nazionale non si riesce a trovare un piano d'azione comune. “Abbiamo un piano nazionale per gli anziani, un piano nazionale per la disabilità – aggiunge la Senatrice – un piano nazionale per la cronicità, abbiamo tanti piani nazionali che non dialogano tra di loro. Proprio oggi che nei mass media si usa tantissimo la parola “piattaforma” noi non siamo stati in grado di creare una piattaforma che connettesse tutti i Piani Nazionali”.

Quella di Roma è stata anche una giornata di confronto con il mondo sanitario con esponenti della FIMMG, della FNOPI e del Tribunale per i diritti del Malato che in modo chiaro hanno esposto le loro idee e le loro richieste per permettere al SSN di cambiare in meglio. Secondo Tonino Aceti, portavoce FNOPI, non si possono escludere i professionisti da questo cambiamento, che li vede sempre più protagonisti. “E' il nuovo infermiere la vera innovazione che il Servizio Sanitario Pubblico deve garantire e allo stesso modo in tutto il Paese. Ha un ruolo dirigenziale e di coordinamento, competenze specialistiche avanzate ed è sempre più in grado di riavvicinare il Ssn – sottolinea Aceti – alle case delle persone attraverso l'infermieristica di famiglia e di comunità. E' protagonista, attraverso un lavoro integrato con le altre professioni sanitarie, nel contrasto alle disuguaglianze che caratterizzano l'accesso alle cure nelle aree interne e più disagiate del nostro Paese – prosegue il portavoce FNOPI – nonché nell'attuazione delle grandi riforme in corso del Ssn a partire dal Piano nazionale della Cronicità. Tutto questo mantenendo il suo tratto identitario che è la vicinanza ai pazienti e il rapporto con loro. Un elemento valoriale – conclude Aceti – importante sia professionalmente che per il “patto col cittadino” che da anni caratterizza gli infermieri”.

Parte fondamentale nel processo di cambiamento dovranno essere anche i medici di medicina generale. “Per cambiare il SSN ci sono solo due strade percorribili – afferma Pier Luigi Bartoletti, Vice Segretario Nazionale FIMMG – o ci metti i soldi o cambi organizzazione. Visto che di nuovi fondi non se ne vedono all'orizzonte la domanda è: quando cambiamo l'organizzazione? Negli ultimi anni si sono tagliati un grande numero di ospedali, ma si stenta a riorganizzare l'assistenza sui bisogni nuovi. Se non si chiarisce prima cosa bisogna fare, quali livelli vogliamo assicurare, che grado di accessibilità offrire – conclude Bartoletti – non riuscire a cambiare il SSN”. Secondo l'esperto quindi per risolvere annosi problemi come le liste d'attesa, non servono solo nuovi fondi ma anche e soprattutto un approccio diverso a quello passato. Dello stesso parere anche altri esperti, intervenuti nel corso dell'Academy. “

Uno dei principali punti in questione è se le risorse aggiuntive – dichiara Luciano Flor, Direttore Generale AOU Padova – che chiediamo serviranno per continuare quello che stiamo facendo o per migliorare l'attuale sistema. Per cambiare dobbiamo avere chiaro una cosa: che cosa serve e a chi?”. Un'altra proposta/richiesta fatta dal mondo sanitario a quello politico è quella di ricucire il mondo sanitario e quello sociale per offrire un trattamento a 360 gradi al paziente. “C'è un problema serio di presa in carico del paziente, soprattutto per la cronicità. Bisogna riorientare il SSN alle patologie che stanno cambiando”. Afferma Monica Calamai, Direttore Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale Regione Toscana, e propone l'utilizzo di un nuovo tipo di Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali, i PDTAS (dove la S sta per sociale). “Una sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello ambulatoriale e di ricovero territoriale, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti e del paziente stesso, a livello ospedaliero e territoriale, al fine di realizzare la diagnosi clinica – sottolinea Calamai – la valutazione psico-sociale e concordare con la persona la terapia, l'assistenza, l'attivazione di interventi e risorse sociali e l'adozione di comportamenti di salute più adeguati”.

Uno strappo, quello tra sociale e sanitario imprescindibile anche per Sabrina Nardi, Vice Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato- Cittadinanza (TDM) e Direttore del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC).
“È fondamentale rimettere il cittadino al centro, perché troppo spesso accade che il cittadino si trovi in mezzo a decisioni e scelte che non lo coinvolgono – afferma Nardi – in maniera diretta. Inoltre bisogna puntare i riflettori sul fatto che i bisogni sociali e sanitari sono spesso inscindibili per il paziente e quindi trattarti in maniera separata vuol dire forzare la persona a distinguere tra priorità”. Ci sono però branche mediche, come il trattamento delle malattie rare, che invece grazie anche alle collaborazioni europee e internazionali, sono già al passo con i tempi e potrebbero essere usate come modello organizzativo anche per altre branche della medicina e della ricerca medica. “Nel corso degli ultimi due decenni, la comunità scientifica ed istituzionale sta dimostrando che lavorare in rete a livello nazionale, europea ed internazionale con la partecipazione attiva di tutti gli attori interessati nelle malattie rare – afferma Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità – contribuisce ad accelerare la ricerca scientifica, lo sviluppo di nuovi dispositivi medici e di farmaci e a facilitare l’accesso ad un'assistenza migliore, con uso più efficiente della risorse umane ed economiche. Verranno citati gli esempi della Rete nazionale malattie rare e delle Reti di riferimento europeo per le malattie rare”.