Formazione sanitaria dopo il COVID. Questo il tema del dibattito che si è svolto presso la Festa dell’Unità nazionale a Modena, organizzato dai Giovani del PD, al quale hanno partecipato per discutere del futuro della formazione sanitaria parlamentari, altre Istituzioni, sindacati e associazioni di categoria.
La professione infermieristica è stata rappresentata da Paola Ferri, professore associato in Scienze infermieristiche all’Università di Modena.
L’emergenza epidemiologia COVID-19, ha spiegato Ferri, ha messo ulteriormente in evidenza la significativa carenza, in Italia, di infermieri, in ambito ospedaliero e ancor più territoriale. Già prima dell’emergenza la carenza nazionale era stimata oltre le 53-55mila unità.
Nel 2019, secondo i dati illustrati dalla docente, l’Ocse ha confermato che in Italia ci sono molti meno infermieri della media Ocse. Anzi rispetto al rapporto dell’anno precedente gli infermieri, seppure solo di 0,1, si sono ridotti ancora scendendo a 5,5 unità ogni mille abitanti. La media Ocse è di 8,9 infermieri per mille abitanti, con punte di 17,8 per la Norvegia, 17,2 in Svizzera, 12,9 Germania e 11,7 negli Stati Uniti. L’Italia è in fondo alla classifica, poco sopra a Polonia (5,1) e Israele (5,1), che si chiude con i 2,1 della Turchia.
“Una significativa letteratura scientifica – ha detto – ha documentato l’impatto della composizione quantitativa e qualitativa dello staffing infermieristico sulla sicurezza della persona assistita e sulla qualità dell’assistenza. Mentre la formazione accademica degli infermieri si correla a migliori outcome per i pazienti, un incremento nel numero di persone assistite per infermiere si associa ad un aumento della mortalità, delle infezioni acquisite, delle cadute e delle cure mancate. Inoltre, la carenza di infermieri incide negativamente sul benessere del personale stesso e sul turn-over”.
In ambito universitario, il significativo fabbisogno di infermieri è evidente nell’immediata occupazione dei laureati delle ultime sessioni e nella continua ricerca di personale infermieristico da parte di tutte le parti interessate (ambito pubblico, privato e libero-professionale).
Nel prossimo futuro il rischio è che la carenza infermieristica sia sentita maggiormente a livello territoriale e comunitario, un ambito importante per affrontare la pandemia e i bisogni delle persone fragili, anziane e non autosufficienti.
“L’esperienza appena vissuta – ha aggiunto – ci ha dimostrato come il sistema della prevenzione e l’assistenza territoriale, impoveriti da anni di programmazione prevalentemente ospedalo-centrica sono quelli che hanno meno retto l’urto della pandemia. Quello che ci si aspetta ora è di spostare il focus più vicino possibile al cittadino per poter presidiare il territorio e lasciare all’ospedale, alle terapie intensive e sub-intensive la possibilità di manifestare la loro potenzialità”.
Per il nuovo anno accademico i posti a bando per Infermieristica hanno visto un lieve incremento (6%), passando da 15.069 a 16.013, disponibilità che comunque rimane inferiore alla richiesta della FNOPI che era di 19.266 posti al primo anno di corso, per l’A.A. 2020/21.
“Una priorità della formazione infermieristica universitaria – ha detto Ferri – è quindi quella della formazione di un numero adeguato di professionisti infermieri, compatibilmente con i limiti della capacità formativa degli Atenei.
Una seconda priorità della formazione infermieristica è sostenere lo sviluppo di competenze specialistiche degli infermieri, per rispondere ai bisogni di salute e alle esigenze del SSN, mediante un’adeguata offerta di percorsi formativi post-base (Laurea magistrale, Dottorato di Ricerca, Master di primo e secondo livello).
Anche a livello di formazione post-base è necessario rivedere il fabbisogno. Per l’A.A. 2020/21 è stato definito un incremento dell’1% dei posti nella Laurea magistrale in Scienze infermieristiche ed Ostetriche, con 1.499 posti, inferiori di circa 300 posti rispetto a quelli richiesti e inferiori alle aspettative di formazione dei nostri laureati triennali”.
Dall’XXII Indagine (2020) di ALMALAUREA relativa al Profilo dei Laureati 2019, della classe di Laurea SNT/1, infatti emerge che il 70,4% intende proseguire gli studi dopo il conseguimento della Laurea. Nello specifico il 35,3% dei laureati è intenzionato a frequentare un Master universitario, mentre il 21,2% una Laurea magistrale biennale.
“La formazione specialistica e avanzata dell’infermiere – ha aggiunto – può essere perseguita mediante la frequenza di una Laurea magistrale ad indirizzo clinico oppure un master specialistico, in funzione della progressione delle conoscenze e competenze da raggiungere.
Rispetto all’offerta di Master specialistici per la professioni infermieristica è importante perseguire un’omogeneità nella proposta didattica e negli esiti, definendo requisiti minimi a livello nazionale, affinché siano percorsi di reale specializzazione evitando contenuti e competenze già acquisite nella laurea triennale. Il documento di Consenso elaborato dalla Conferenza Permanente delle classi di laurea delle Professioni Sanitarie, che è stato inoltrato a tutte le Università, propone i requisiti che questi Master, con elevata valenza specialistica, dovrebbero possedere.
L’emergenza epidemiologica che stiamo affrontando ha messo in evidenza che la formazione universitaria dell’Infermiere di famiglia e comunità deve essere ora una priorità assoluta”.
La conversione in legge del decreto Rilancio ha sancito l’introduzione ufficiale dell’infermiere di famiglia/comunità, cioè un professionista preparato, che ha seguito una specifica formazione universitaria nell’ambito di un Master o di una Laurea magistrale ad indirizzo clinico.
“Questo specialista – ha concluso – potrà assistere al meglio i pazienti fragili e le loro famiglie, in un contesto di fragilità ‘aumentata’, come spiega la presidente FNOPI , in modo ancora più forte nel post-COVID”.