
“La figura dell’infermiere di famiglia e comunità, recepita negli atti da tutte le Regioni italiane, grazie al lavoro capillare fatto dagli Ordini provinciali e dalle Università, è scelta sempre di più dai colleghi, soprattutto dai più giovani. Per questo, come Federazione, in un lavoro di grande sinergia con i due Ministeri competenti, abbiamo inserito Cure primarie e Sanità pubblica tra le tre nuove lauree magistrali a indirizzo clinico. Ci auguriamo che il loro recepimento sia posto subito all’ordine del giorno del nuovo Consiglio superiore di sanità che si insedierà il prossimo 8 luglio”.
La presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI, è intervenuta al workshop promosso dal Ministero della Salute dal titolo “L’Infermiere di famiglia per la continuità assistenziale tra i professionisti, i luoghi e il tempo delle cure” al quale hanno preso parte numerosi rappresentanti del Ordini provinciali. Nel corso del suo intervento, partendo dai dati del primo Rapporto FNOPI Sant’Anna, ha delineato l’identikit degli infermieri iscritti all’Albo nazionale: 461mila (dati al 30 giugno), con un’età media di 46.5 anni e una netta prevalenza di donne. “Una professione – ha specificato – che, per quanto più giovane di quella medica, è entrata nella fase della gobba pensionistica che ne mette in evidenza la carenza crescente negli anni a venire”. Mangiacavalli ha ricordato anche l’importanza di accedere a fonti certe, come Ragioneria dello Stato, Ministero della Salute e la Federazione che da quest’anno ha inaugurato il Rapporto con l’intento di metterlo a disposizione di istituzioni e opinione pubblica.
“Nel Rapporto vengono analizzate tutte le peculiarità regionali con un focus sull’Infermiere di famiglia e comunità ancora presente a macchia di leopardo nelle varie aree del Paese. Ma laddove funziona se ne comprende la centralità. Di conseguenza – sottolinea la presidente – occorre diversificare i modelli organizzativi, e specializzare le competenze. Partendo da una formazione universitaria triennale generalista e in grado di fornire una base importante al professionista, il percorso deve proseguire attraverso le Lauree magistrali e i master perché con l’infermiere di famiglia e comunità cambia il paradigma dell’assistenza. Semplificando: l’infermiere non risponde più alla chiamata in ospedale, ma lui suona al campanello ed entra nelle case delle persone assistite: case e situazioni sempre diverse e non sempre semplici. Indispensabile, quindi, una formazione specifica e puntuale”.
La giornata, aperta dai saluti di Francesco Mennini, Capo del Dipartimento della programmazione del Ministero della Salute, è stata l’occasione per illustrare le evidenze dello studio pilota “Modello di presa in carico delle persone fragili basato sull’Infermiere di famiglia”, promosso dal Ministero e condotto dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’ASST di Lecco.
Nella prima delle due sessioni di approfondimento proposte, la professoressa Maria Grazia De Marinis dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – entrata a far parte del Consiglio superiore di sanità – ha relazionato su L’Infermiere di famiglia per una risposta puntuale e coordinata ai bisogni. Nel corso dell’intervento, De Marinis, premettendo una situazione non ancora omogenea rispetto all’arruolamento degli infermieri di famiglia e comunità (Ifec) nelle varie regioni italiane, ha parlato di come tradurre i bisogni assistenziali in modelli infermieristici domiciliari. Ha sottolineato l’importanza del sostegno all’auto cura e della necessità di allineare l’autonomia dell’Ifec che va a domicilio con l’attività svolta dal team multiprofessionale.
IL VIDEO DEL SALUTO ISTITUZIONALE DELLA PRESIDENTE MANGIACAVALLI