Istat, Rapporto 2018: l’Italia è un paese di "vecchi". E al Sud si invecchia peggio

L’Italia è il secondo Paese più vecchio del mondo (dopo il Giappone) e sconta un forte calo di natalità che dura ormai da nove anni.

Questo soprattutto perché proprio per l’aumento dell’età escono dall’età feconda generazioni particolarmente numerose di donne e gli altri (un quarto della popolazione), ha scarsa propensione a procreare. Inoltre, si diventa genitori sempre più tardi. Per le donne, l’età media alla nascita del primo figlio, che era di 26 anni nel 1980, nel 2016 è di 31.

E nemmeno più gli stranieri aiutano il saldo demografico:  dal 2012 diminuisce anche il contributo alle nascite della popolazione straniera. Il numero medio di figli delle donne straniere resta più elevato di quello delle donne italiane (1,95 figli per donna rispetto a 1,27), ma diminuisce per effetto di una struttura per età più “vecchia” rispetto al passato e per i cambiamenti nella dimensione e composizione dei flussi migratori.

L’Istat nel suo 26° Rapporto annuale scatta una fotografia degli italiani  che si dichiarano in buona salute in sette su dieci, presentano rispetto ad altri paesi europei una maggiore omogeneità dello stato di salute rispetto alla condizione economica, ma scontano una forte differenza tra Regioni rispetto alla diseguaglianza in salute. In generale, al crescere della spesa sanitaria pro capite questa diminuisce; alcune regioni si discostano da questa tendenza.

Rispetto ad altri paesi europei c'è una maggiore omogeneità dello stato di salute rispetto alla condizione economica. Nel 2016, nel Paese, l'indice di diseguaglianza nella percezione dello stato di salute presenta un valore di 0,243, registrando il minimo in Valle d'Aosta (0,166) e il massimo in Basilicata (0,331).

Secondo le stime riferite al 2017, la speranza di vita alla nascita ha raggiunto 80,6 anni per gli uomini e 84,9 per le donne. Sul totale della popolazione, il valore più elevato si registra nella provincia di Firenze (84,1 anni), seguita dalla provincia autonoma di Trento (83,8 anni). Il valore minimo è rilevato nelle province di Napoli e Caserta (per entrambe 80,7 anni).

Alla nascita l'aspettativa di vita in buona salute a Bolzano è di quasi fino a 70 anni (69,3 per gli uomini e 69,4 anni per le donne) a fronte di una media nazionale di 60 anni per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne.

I maschi della Calabria e le femmine della Basilicata sono invece ai livelli più bassi, con un'aspettativa di vita in buona salute alla nascita rispettivamente di 51,7 e 50,6 anni.

Ma il calo di natalità aumenta progressivamente lo squilibrio demografico: con quasi 170 anziani (persone di almeno 65 anni) ogni 100 giovani (tra 0 e 14 anni),

Nel dettaglio, la variabilità del dato provinciale riferito al 2016 mette in luce realtà in cui – anche quando la Regione si colloca al di sopra della media nazionale – in alcune province la speranza di vita alla nascita è più bassa di quella italiana (82,8 anni).

Ad esempio, in Lombardia si va dal valore massimo della provincia di Monza e Brianza (83,9 anni) al minimo di quella di Pavia (82,0 anni).

Complessivamente, osservando la speranza di vita alla nascita a livello provinciale, emergono forti eterogeneità, con un apparente vantaggio delle province che si collocano lungo la dorsale che va dal Nord-Est all’Italia centrale: il valore più elevato si registra nella provincia di Firenze (84,1 anni), seguito dalla provincia autonoma di Trento, con un valore della vita media attesa alla nascita di 83,8 anni.

Man mano che si passa ai territori del Mezzogiorno, si riduce la durata della vita attesa, con un dato minimo registrato in Campania nelle province di Napoli e Caserta (per entrambe 80,7 anni).

Se i differenziali provinciali della speranza di vita alla nascita complessivi variano in una forbice di 3,4 anni, questa si amplia (8,1 anni) quando si considerano anche le differenze di genere. Di conseguenza, un nuovo nato di sesso maschile residente nella provincia di Caserta potrà contare di vivere fino a 78,3 anni, mentre per una femmina che nasce nella provincia di Pordenone, la speranza di vita è di 86,4 anni.

L’analisi condotta grazie all’integrazione tra i risultati del Censimento 2011 e i decessi osservati nel triennio 2012-2014 consente di presentare la speranza di vita alla nascita per titolo di studio anche su base regionale (il livello di istruzione è stato classificato in alto, medio e basso sulla base del titolo conseguito e della coorte di nascita).

Per gli uomini, a livello nazionale, la differenza di longevità tra persone con alto e basso livello di istruzione è pari a 3,1 anni e per le donne si riduce della metà (1,5 anni). Sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore sopravvivenza si osserva nella provincia autonoma di Bolzano tra quanti hanno un elevato livello di istruzione; la Campania è la regione più svantaggiata per uomini e donne meno istruiti.

È utile osservare anche la speranza di vita per condizioni di salute, ovvero la speranza di vita in buona salute e quella senza limitazioni nelle attività, indicatori particolarmente rilevanti per monitorare la qualità degli anni da vivere in un Paese che è tra i più longevi al mondo. Per la costruzione di tali indicatori, si combinano i livelli di sopravvivenza e la percezione dello stato di salute o la presenza di limitazioni nelle attività, quest’ultima particolarmente rilevante per l’età anziana, al fine di condurre una vita autonoma.

A fronte di differenze massime di 2 anni e 8 mesi, che si riscontrano nella speranza di vita tra la Campania e Trento, le differenze regionali degli anni di sopravvivenza in buona salute sono nettamente più marcate. Bolzano supera di circa dieci anni il dato medio italiano, sia per gli uomini sia per le donne: chi nasce a Bolzano può aspettarsi di vivere quasi fino a 70 anni in buona salute (69,3 per gli uomini e 69,4 anni per le donne) a fronte di una media nazionale di 60 anni per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne.

Gli uomini della Calabria e le donne della Basilicata sono ai livelli più bassi per le rispettive graduatorie di genere, con un numero medio di anni da vivere in buona salute rispettivamente di 51,7 e 50,6 anni.

La salute rappresenta un elemento essenziale nella vita delle persone, e lo è tanto più nell’età anziana.

Una delle sfide della maggior parte dei paesi europei e occidentali per i prossimi decenni è quella di far guadagnare alle generazioni di anziani il maggior numero di anni vissuti in buone condizioni di salute e senza limitazioni nelle attività, anche promuovendo l’invecchiamento attivo. In tal modo, a livello individuale si persegue un miglioramento della qualità degli anni di vita da vivere e allo stesso tempo, a livello collettivo, si pongono le premesse per poter garantire la futura sostenibilità dei sistemi socio-sanitari. In Italia nel 2015 la vita media attesa a 65 anni è risultata di 22,2 anni per le donne e 18,9 per gli uomini, superiore di un anno rispetto alla media dei paesi Ue, ma gli anziani italiani si collocano al di sotto della media europea quando si considera la sopravvivenza senza alcuna limitazione nelle attività.

La sopravvivenza senza alcuna limitazione a 65 anni presenta sempre un gradiente geografico Nord-Sud, ma le regioni che sono nelle prime posizioni in graduatoria sono diverse rispetto a quelle osservate per la speranza di vita in buona salute alla nascita.

Ci sono differenze di genere in tutte le Regioni per la speranza di vita a 65 anni, ed emerge una sostanziale similitudine tra maschi e femmine nel numero di anni da vivere senza limitazioni, con la conseguenza che le donne, pur vivendo di più, trascorrono anche più anni con limitazioni nelle attività.

La Liguria presenta la più elevata speranza di vita senza limitazioni per i maschi a 65 anni, con 11,4 anni; per le donne, invece, è al primo posto la Valle d’Aosta, con 12,3 anni. I livelli più bassi si rilevano in Sicilia.

A fronte di bisogni che emergono soprattutto in specifiche fasce di età, in Italia le reti di aiuto informale hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nel sostenere e aiutare gli individui nei momenti della vita caratterizzati da maggiore fragilità, come nei casi di malattia e perdita di autonomia.

Le famiglie in cui sono presenti anziani necessitano, secondo il Rapporto, di aiuti relativi alle prestazioni sanitarie (iniezioni, medicazioni, eccetera): più di un terzo delle coppie senza figli con almeno una persona di 65 anni e più ha ricevuto prestazioni sanitarie, poco meno del doppio del dato medio (18,2 per cento).

Dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi, il Rapporto Istat rileva alcuni dati di struttura, organizzazione e risultato  del servizio sanitario nazionale 

In generale, al crescere della spesa sanitaria pro capite diminuisce la diseguaglianza in salute. Si discostano da questa tendenza: il Molise, con una spesa pro capite particolarmente elevata e uno dei valori più alti di diseguaglianza in salute; al contrario il Veneto raggiunge un basso livello di diseguaglianza in salute, nonostante la spesa sanitaria sia al di sotto della media nazionale.

Nel 2016, il 47,1% della spesa sanitaria pubblica è destinato alle prestazioni ospedaliere, il 20,3% all'assistenza ambulatoriale, il 15,8% all'assistenza farmaceutica e altri presidi medici, il 10,2% all'assistenza di lungo periodo; il resto si distribuisce nell'attività di prevenzione delle malattie e nelle altre funzioni di assistenza e per la gestione del sistema.

L'assistenza territoriale assorbe il 30,7% della spesa sanitaria pubblica ed è destinata per il 18,3% a funzioni di cura e riabilitazione, per l'8,2% a servizi di laboratorio di analisi, diagnostica per immagini, trasporto di pazienti o soccorso di emergenza e per il 4,2% a prestazioni di assistenza di lungodegenza.

La varietà di offerta di servizi sul territorio può anche essere valutata in relazione alla struttura demografica e ad altre caratteristiche della popolazione beneficiaria. Profili di offerta sanitaria più centrati sui servizi destinati agli anziani e alle persone con disabilità sono tipici delle aree del Nord e di una parte del Centro.

Le Asl con profili di offerta più indirizzati all'assistenza clinica e diagnostica e meno ad anziani e persone con disabilità sono invece prevalenti nel Mezzogiorno, nel Lazio, in alcune zone del Veneto e nelle aree costiere della Toscana.

Nel 2015, operano in Italia 1.344 strutture ospedaliere del Ssn, per un totale di 217 mila posti letto, per l'83,9% destinati alla cura di patologie acute, per circa il 12% alla riabilitazione, e il rimanente alla lungodegenza.

L'80% delle Asl garantisce l'offerta di Dipartimenti di emergenza di primo livello, circa il 50% quella di secondo livello. Ampie zone del Paese, in particolare nelle Isole, nel Lazio, in Abruzzo e in alcune parti del Nord-est, non sono in grado quindi di fronteggiare emergenze di particolare gravità, se non attraverso trasporti speciali.

Le Regioni con la quota più elevata di mobilità ospedaliera in uscita sono Molise, Basilicata e Calabria (rispettivamente 26,7, 23,7 e 21,2% dei ricoveri dei residenti nel 2016); queste stesse regioni hanno la percentuale più bassa di cittadini soddisfatti per l'assistenza medica ospedaliera ricevuta nel luogo di residenza (25,6, 12,6 e 21,1% rispettivamente).

Le regioni più attrattive per l'assistenza ospedaliera sono la Lombardia e l'Emilia-Romagna, le quali effettuano, rispettivamente, 3,0 e 2,4 ricoveri in entrata per ogni ricovero in uscita dalla regione.

Nel 2015, la spesa dei comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, ammonta a circa 7 miliardi di euro, lo 0,4% del Pil. Circa il 40% delle risorse è destinato ai servizi e ai contributi per le famiglie con figli, un quarto della spesa è destinata ai disabili, circa il 20% agli anziani; quote inferiori sono rivolte al contrasto alla povertà e all'esclusione sociale (7,0%), alla gestione degli immigrati (4,2) e al contrasto alle dipendenze (0,4).

La principale fonte di finanziamento dei servizi sociali è costituita da risorse proprie dei comuni, che complessivamente coprono circa il 70% della spesa per i servizi sociali. Il contributo del fondo indistinto per le politiche sociali nel 2015 è inferiore di quattro punti percentuali rispetto al 2006 ed è in proporzione più alto nel Mezzogiorno rispetto al Centro-nord, dove è invece maggiore l'apporto delle risorse proprie dei comuni.

Infine, pur non parlando mai specificamente di infermieri, medici o altre figure professionali, l’Istat rileva che l’incremento delle professioni qualificate nell’ultimo anno riguarda principalmente le donne (+3,6 per cento contro +0,4 degli uomini) e in termini assoluti, tra i comparti, l’istruzione e la sanità.

IL RAPPORTO ISTAT 2018