Su tempi di attesa, gestione delle cronicità, accesso ai farmaci innovativi, coperture vaccinali e screening oncologici si registrano disuguaglianze sempre più nette fra le varie aree del Paese. E non sempre al Nord va meglio che al Sud. Ad esempio se le regioni meridionali arrancano sull`adesione agli screening oncologici, sulle coperture vaccinali sono soprattutto quelle del Centro-Sud ad aver raggiunto la soglia del 95%. Se al Nord si investe di più e meglio per l`ammodernamento delle strutture e dei macchinari, sulle liste di attesa si registrano picchi negativi anche nelle aree settentrionali; ad esempio, per un intervento di protesi d`anca si attende di più in Veneto che in Calabria e per una coronarografia più in Piemonte che in Abruzzo. Questo il quadro che emerge dal VI Rapporto dell`Osservatorio civico sul federalismo in sanità, presentato oggi da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, con il contributo non condizionato di Bristol-Myers Squibb, Janssen e Sanofi.
Passano da 5 a 2 le Regioni che il Ministero della Salute valuta inadempienti rispetto all`erogazione dei Livelli essenziali di assistenza: restano indietro la Calabria, che perde 3 punti rispetto all`anno precedente, e la Campania che si attesta sul punteggio più basso. E` il Veneto la Regione con il punteggio LEA più elevato pari a 209. Tra la prima e l`ultima Regione ci sono 85 punti di scarto.La spesa sanitaria pubblica procapite varia da un minimo di 1.770 euro della Campania, ad un massimo di 2.430 euro della PA di Bolzano e 2.120 dell`Emilia Romagna.
Profonde anche le differenze sulla spesa sanitaria annuale a carico delle famiglie: si va dai 159 euro in media della Lombardia, ai 64 euro della Campania. Stesse differenze per la quota di ticket pro capite sostenuta dai cittadini: nel 2017 si passa dai 95 euro in Valle d`Aosta ai 32,8 della Sardegna. È tutto merito del superticket, ovvero i 10 euro aggiuntivi su ricetta, se gli introiti per lo Stato derivanti dai ticket sono in costante riduzione: si passa da oltre 1,548 MLD di euro del 2012 a poco più di 1,336 MLD del 2017, cioè 212 milioni di euro in meno l`anno. Sette Regioni, ossia Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Basilicata, si sono avvalse della possibilità di ricorrere a misure alternative ai 10 euro.Recentemente, inoltre, hanno adottato iniziative volte ad eliminare o ridurre il peso del Superticket le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Abruzzo.
Per la Fnopi, presente il presidente dell'Ordine delle Professioni Infermieristiche di Arezzo, Giovanni Grasso. “Più sistemi sanitari, a diversa efficacia e sicurezza, comportano una perdita complessiva di coesione sociale con una accentuazione degli squilibri tra Regioni più ricche e più povere, che il fenomeno inarrestabile della mobilità sanitaria contribuisce ad aggravare sottraendo ogni anno 4,6 miliardi da un finanziamento in partenza più basso. Le Regioni del Mezzogiorno, mediamente più giovani, ricevono una quota capitaria media inferiore del 2,6% (-45,5 euro) rispetto a quella del Nord e del Centro, e faticano a contenere la mobilità che porta via altre risorse. Le distanze tra due punti dello stesso Paese, Napoli e Firenze ad esempio, possono esprimersi non solo in km ma in aspettativa di vita, minore al Sud di 4 anni, e in tassi di mortalità evitabile, maggiori al Sud, malgrado una spesa maggiore in rapporto al suo Pil. Sud e Nord sono diventati due Paesi diversi così lontani da far dubitare che ci sia una sola terapia che possa andare bene a entrambi”, il contesto di riferimento delinato nel suo intervento.
“E’ ovvia la necessità di centralità del paziente, l’importanza di valutare la qualità e la soddisfazione per le cure erogate come problema primario, ma di difficile quantificazione soprattutto a livello territoriale, un tipo di assistenza che sia come sia la Regione, virtuosa o meno, manca quasi sempre del tutto. Le proposte – ha continuato Grasso – si possono riassumere in questo senso nella soddisfazione per la presa in carico del paziente con problemi sanitari complessi o cronici, di continuità di cura e riabilitativa, ma anche la necessità di incrementare gli indicatori di esito delle cure ospedaliere: per questo gli infermieri hanno chiesto l’inserimento nel Programma nazionale esiti di una serie di esiti infermieristici. E’ da tempo ormai che chiediamo lo sviluppo dell’assistenza sul territorio. Anche implementando il ruolo dell’infermiere ad esempio, come avviene ormai in molte Regioni, con l’infermiere di famiglia e di comunità per mantenere e migliorare, come dicono le stesse delibere regionali che già l’hanno previsto, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute. Tutto questo nonostante le ultime sacche di chi è ancora legato a gestioni ormai obsolete e fuori tempo che giustifica con motivazioni che professionalmente non hanno più ragione nemmeno di essere pensate. Un lavoro svolto in un team multi-professionale nel quale operano i medici di medicina generale, l'infermiere di cure primarie, medici specialisti di riferimento per la patologia e altri professionisti non medici a seconda delle specifiche esigenze dell'assistito. Un team che opera in stretta collaborazione con la medicina di comunità per garantire l'operatività del raccordo con i settori specialistico, sociale, le risorse comunitarie e per garantire un'azione snella e flessibile nella rilevazione dei bisogni, la continuità e l'adesione alle cure, la sorveglianza domiciliare e la presa in carico dell'individuo e della famiglia con l'intento di evitare inutili ricoveri, favorire la deospedalizzazione, presidiare l'efficacia dei piani terapeutico-assistenziali, allo scopo di migliorare la qualità di vita della persona nel suo contesto di vita. E’ questo ciò che serve”.
“Sulle autonomie regionali dobbiamo capire quali saranno le implicazioni a breve e lungo termine” e, “nel momento in cui riguardano la sanità, e' necessario un momento di confronto anche con cittadini e professionisti, perche', parliamo di un tema delicato”.
Lo ha detto il ministro della Salute Giulia Grillo, intervenuta alla presentazione del Rapporto. L'attribuzione, a tutte le Regioni che lo richiedano, di maggiore autonomia, “rientra nel contratto di Governo” spiega Grillo.
Tuttavia “le ricadute di questo percorso non sono state a pieno ancora comprese nemmeno dai cittadini delle regioni che hanno avviato questo cammino di riconoscimento”, in ultimo, proprio ieri, l'Emilia Romagna, con l'apertura ufficiale della fase istruttoria. “In quanto ministro della Salute, devo garantire una sempre maggiore omogeneità nazionale dal punto di vista dell'accesso alle cure, anche facendo parte di un governo che, su alcune questioni, ha punti di vista specifici”. “Ben venga, quindi – ha concluso rispondendo all'invito lanciato da Cittadinanzattiva – l'idea di un tavolo, o comunque di un confronto, con le associazioni di cittadini, così come con i rappresentati delle professioni del settore”.
IN ALLEGATO IL RAPPORTO