Decreto Rilancio: l’infermiere di famiglia/comunità è “legge”

Il “Decreto Rilancio” apre le porte al territorio. E lo fa anche secondo alcune linee che la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) chiede ormai da tempo, prevedendo un aumento degli organici.

La misura prevista per gli infermieri è di 8 ogni 50mila abitanti: 9.600 in più cioè, circa la cifra che FNOPI aveva già sottolineato come necessaria per dare il via alla figura dell’infermiere di famiglia/comunità durante la pandemia, anche se a regime ne serviranno secondo la Federazione almeno 20mila. In un primo tempo le assunzioni sono previste fino a fine anno, poi dal 2021 saranno stabilizzate a tempo indeterminato.

Speranza: “Si rafforza la rete territoriale e il conctat tracing”

Lo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, commentando alla conferenza stampa a Palazzo Chigi i contenuti del decreto (A QUESTO LINK il comunicato finale del Consiglio dei ministri), ha sottolineato che nel provvedimento si è voluto rafforzare la rete territoriale e il contact tracing, con 9600 infermieri, un investimento sui servizi domiciliari alle persone fragili che farà passare l’Italia dal 4% della platea di assistiti al 6,7%, 0,7% in più della media Ocse.

Mangiacavalli: “Una misura chiesta da tempo e non solo per l’emergenza COVID”

“Questo passo – sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – riconosce la necessità già scritta da Governo e Regioni nel Patto per la salute 2019-2021 di introdurre a pieno titolo la figura dell’infermiere di famiglia/comunità. E non solo come supporto alla prima linea di COVID-19 che si sposta ormai sul territorio, ma anche per l’assistenza sempre necessaria a cronici e fragili non Covid”.

Una figura che col Decreto Rilancio viene confermata e istituita “per legge”, aprendo la porta alla sua istituzione omogenea su tutto il territorio nazionale per il miglioramento dell’assistenza.

L’infermiere di famiglia dà già i suoi risultati

Dove l’infermiere di famiglia/comunità è già attivo infatti (ad esempio dal 2004 in Friuli-Venezia Giulia, ma lo ha regolamentato anche la Toscana che lo affianca già in micro-équipe ai medici del territorio e altre Regioni hanno deliberato la sua introduzione come il Piemonte, la Liguria, il Lazio ecc.)  ha già dato risultati eccellenti: riduzione del 20% dei “codici bianchi” al pronto soccorso, del 10% delle ospedalizzazioni, interventi più rapidi sul territorio con una riduzione dei tempi di percorrenza dal 33 al 20%, maggior gradimento dei cittadini.

Un primo passo: ora si deve organizzare la diffusione omogenea sul territorii

“Questo – aggiunge la presidente FNOPI – è il primo passo: ora si deve proseguire con un modello di assistenza in cui Governo e Regioni prevedano l’organizzazione omogenea sul territorio di queste nuove forze. Un passo a cui deve seguire un ampliamento della figura di questi professionisti che deve essere da subito ben definita, strutturata e riconosciuta a livello formativo. Per farlo la FNOPI è come sempre pronta alla collaborazione più ampia con le istituzioni”.

L'”ombra” delle terapie intensive

Ma c’è un’ombra secondo FNOPI tra le righe del decreto che va risolta in fretta. Giustissimo e indispensabile prevedere nuovi posti di terapia intensiva: “Non possiamo farci trovare impreparati un’altra volta”, sottolinea Mangiacavalli.

Per assicurare l’indispensabile assistenza di cui c’è bisogno in un settore così delicato, è necessario prevedere un ampliamento dell’organico. Gli standard nazionali e internazionali indicano che sono necessari ogni 8 posti letto di terapia intensiva 24 infermieri e 12 ogni 8 posti letto di terapia sub-intensiva: circa 17mila infermieri in più – senza considerare le carenze attuali sotto gli occhi di tutti – in funzione solo dei nuovi posti previsti dal decreto.

Oggi il rapporto infermieri-cittadini in ospedale è molto sotto la media

Secondo gli standard internazionali, ogni infermiere dovrebbe assistere in media non più di sei pazienti per ridurre il rischio di mortalità del 20-30%, ma ci sono Regioni dove il rapporto raggiunge 1:16 e comunque non si scende sotto 1:9. E per le terapie intensive il dato è più rigido: un infermiere, ovviamente specializzato nell’emergenza,  dovrebbe seguire al massimo poco più di un paziente e due in sub-intensiva per garantire un’assistenza all’altezza della gravità dei ricoveri. Oggi personale a sufficienza non c’è e i pazienti rischiano di restare soli.