Stati generali comunicazione, Mangiacavalli: “Serve conoscenza e sinergia di tutti gli stakeholder”

Pubblichiamo l’intervento della Presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche agli Stati Generali della Comunicazione per la Salute organizzati da da Federsanità, in collaborazione con PA Social.

di Barbara Mangiacavalli

Gli Stati generali della Comunicazione per la Salute sono caratterizzati da una parola su tutte: comunicazione.

Mi piace quindi usare la radice, l’etimologia di questo termine, per capire insieme a tutti voi cosa possiamo oggi “mettere in comune”, su cosa possiamo, seppur rapidamente, confrontarci per mettere le basi per un cambiamento di paradigma, per favorire un nuovo approccio culturale da parte dei media al settore della comunicazione sanitaria e della salute.

Noi infermieri, in primo luogo, ci teniamo a comunicare, a mettere in comune, a condividere con tutti voi, chi siamo.

Rispetto a quello che facciamo e a cosa rappresentiamo per il cittadino, invece, non penso vadano spese ulteriori spiegazioni. Dopo i due anni di pandemia, solo qualcuno in malafede può ancora affermare di non sapere quale sia l’essenziale contributo degli infermieri nel Servizio sanitario nazionale e nella nostra comunità in generale.

Rispetto al “chi siamo”, approfitto di questi stati generali per riepilogare che gli infermieri in Italia sono oltre 456mila, che la professione è ormai caratterizzata anche da una consistente componente maschile (quasi il 25%, un quarto del totale), che il nuovo infermiere è un professionista laureato e sempre più frequentemente specializzato mediante master e percorsi di alta formazione post-universitaria.

Dico questo per affrontare uno dei primi “nodi” che vorrei mettere in comune stamane, per provare a sciogliere, contando anche sulla presenza del presidente dell’Ordine dei Giornalisti.

L’infermiere però che ho l’onere e l’onore di rappresentare è un professionista laureato spesso con anche percorsi formativi universitari post-laurea di specializzazione, di perfezionamento, di dottorato di ricerca. È un infermiere che ha competenze specialistiche, che entra all’interno dell’équipe professionale con competenza e autorevolezza, con la possibilità di interagire con gli altri componenti dell’équipe per realizzare quel processo individuale di cura e di assistenza su ogni singolo cittadino.

Ci sono però alcuni nodi, c’è una certa stampa, una certa televisione, che è rimasta per così dire “affezionata” a una vecchia e retorica rappresentazione dell’infermiere, ma più in generale di tutte le professioni sanitarie.

Non è un problema giornalistico, sia chiaro, e non è un problema patito solo dalla nostra professione: noi infermieri non siamo gli unici, infatti, ad aver sofferto per certe rappresentazioni non proprio edificanti nel passato: si pensi alle commedie sexy degli anni 70 ma anche al famoso medico della mutua interpretato da Alberto Sordi.

L’infermiere in tv viene spesso presentato e rappresentato come giovane donna, mediamente attraente e mediamente innamorata di un medico, impegnata in mansioni puramente pratiche e strumentali. Nessuno mai ci chiama dottori, malgrado la laurea, ma con il cognome o addirittura con il solo nome di battesimo, se si tratta di una donna infermiera.

Sulla stampa e sui social, poi, ci sono poi tanti termini inesatti che vengono normalmente usati per descrivere la professione che rappresento: il vituperato paramedico che è una brutta trasposizione di un linguaggio anglosassone dove li affonda le radici in un altro tipo di culture ha tutt’altra valenza e significato. Caposala (da vent’anni esiste l’infermiere coordinatore). Infermiere professionale (retaggio delle vecchie scuole di formazione professionale regionali), paramedico (un termine coniato dal contesto nordamericano, del tutto diverso dal nostro), o anche infermiere della Croce Rossa (la Croce Rossa, come si sa, svolge la sua encomiabile opera essenzialmente con volontari, non necessariamente laureati in Infermieristica o in Medicina).

La pandemia ha acceso un enorme riflettore sulle professioni sanitarie, infarcendo la cronaca anche con tanta retorica (chiamandoci eroi, angeli, missionari) ed è quindi proprio ora che ha senso “tirare una linea” per ripartire con slancio, anche nel delicato settore della comunicazione sanitaria, favorendo un cambio di mentalità nel racconto del nostro sistema salute, che tra l’altro resta uno dei più invidiati al mondo.

Approfitto dunque di questa occasione, e del ruolo istituzionale ricoperto da un’organizzazione come Federsanità, per lanciare una prima modesta proposta, da questi Stati generali.

Potrebbe partire da qui un educato ma fermo appello a tutti gli attuali player del mercato delle fiction tv per chiedere una cosa semplice e a costo zero per loro: che nella fase di scrittura e nell’allestimento delle scenografie si interpellino gratuitamente, tramite Federsanità, noi professioni sanitarie, noi aziende sanitarie e ospedaliere, per descrivere e rappresentare in modo coerente i contesti professionali, sanitari e ospedalieri che ci vedono coinvolti. Eviterebbero degli scivoloni loro, e aumenterebbe di molto il gradimento da parte del pubblico.

Come Federazione nazionale Infermieri abbiamo appena concluso con successo un progetto, in ambito teatrale, che andava più o meno nella stessa direzione, proprio qui a Roma, e per giunta a cavallo della pandemia.

Nel 2019, infatti, quando il covid ancora non aveva fatto capolino, abbiamo concretizzato con il Teatro di Roma, la possibilità di realizzare uno spettacolo teatrale sul vissuto degli infermieri, ma con un approccio del tutto diverso rispetto al passato.

Come FNOPI abbiamo messo a disposizione del regista un gruppo di infermieri “veri”, di varie regioni, di diverse età e formazione, di reparti e setting assistenziali diversi, per fare in modo che il regista Roberto Gandini e i suoi autori potessero assorbire, mediante giornate di workshop qui a Roma, al teatro di Villa Torlonia proprio a due passi da qui e al laboratorio “Pietro Gabrielli” a Trastevere, il loro gergo, la loro gestualità, il modo con cui affrontano la vita, la morte, la malattia, la vita privata, le aspirazioni personali e di carriera.

E dopo questa fase di ascolto, questi infermieri veri hanno trascorso del tempo con gli attori che li avrebbero interpretati sul palco. Ed è successo il miracolo: è andato in scena, lo scorso ottobre al teatro india in prima nazionale lo spettacolo “La notte di capodanno”, il racconto vero, dal di dentro, di un movimentato turno di notte in un ospedale l’ultimo giorno dell’anno e il pubblico, e certamente anche noi infermieri, ha gradito, affollando tutte le sere, per una settimana il teatro. Uno spettacolo che abbiamo poi proposto al nostro congresso nazionale di dicembre, sempre a Roma all’Ambra Jovinelli, e che si appresta, nel 2022, a iniziare un tour in tutta Italia.

Ci si potrebbe obiettare: ma come, un Ordine entra nella produzione di un’opera teatrale? Ma la sfida è proprio questa, farci conoscere meglio, ma senza arroganza, senza impartire lezioni: piuttosto collaborando, creando empatia, facendo realmente comprendere chi siamo, cosa siamo diventati, quale sia il nostro orizzonte futuro.

E chiudo proprio sul futuro, sul futuro della nostra professione e, mi permetto di dire, il futuro del nostro sistema salute nazionale.

Molto presto l’infermiere di famiglia e di comunità, così come da anni il medico di medicina generale, sarà non solo una formula astratta, ma sarà una figura che entrerà in contatto con ciascun cittadino, in ogni parte di Italia, come punto di riferimento essenziale e irrinunciabile al di fuori del contesto ospedaliero, sempre più votato alle acuzie.

“Ovunque per il bene di tutti” è il titolo che abbiamo dato al nostro congresso itinerante, che dal 12 maggio 2021 ci sta consentendo di fare tappa in tutte le regioni d’Italia per premiare e documentare le buone pratiche infermieristiche che già realizzano sul territorio un’assistenza di eccellenza slegata dai vecchi modelli organizzativi.

E anche in questo caso ci siamo detti che sarebbe stato un peccato non raccontare questo nuovo modo di essere infermieri, soprattutto dopo tutta questa narrazione giocoforza ospedalocentrica dovuta ai due anni di covid.

Con la squadra di Clipper Media e con il regista Gianluca Rame, il nostro Ufficio Stampa e Comunicazione sta costruendo un documentario, che speriamo possa approdare anche in tv o su qualche piattaforma, che mostra i nostri infermieri impegnati, da protagonisti e con ruoli di elevata responsabilità, in setting assistenziali all’avanguardia: nel campo della salute mentale e dell’abitare supportato a Bolzano; nei gruppi di cammino per anziani in Val Trebbia; in una casa della salute avveniristica a Forlimpopoli; tra i minatori della cave di Carrara o a fare educazione sanitaria in palazzine occupate nella periferia di Macerata. Infermiere pediatriche che seguono a distanza, nel Napoletano, i primi mille giorni di vita dei neonati grazie al telenursing o colleghi che, sempre mediante la tecnologia, hanno sviluppato pienamente il concetto di teleassistenza nella provincia di Foggia, dove siamo stati proprio pochi giorni fa.

Ovviamente una buona comunicazione dobbiamo farla anche noi infermieri, usando in modo appropriato i mezzi a nostra disposizione. Per questo, nel nuovo codice deontologico abbiamo particolarmente insistito nell’inserire un articolo specifico, l’articolo 28, che recita: “L’Infermiere nella comunicazione, anche attraverso mezzi informatici e social media, si comporta con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità; tutela la riservatezza delle persone e degli assistiti ponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possano ledere i singoli, le istituzioni, il decoro e l’immagine della professione”.

Proprio sul futuro della professione che rappresento, faccio alcune considerazioni.

Stiamo lavorando in maniera importante con le istituzioni con il ministero della Salute con l’Istituto Superiore con Agenas con la Fnomceo per provare a connotare questo cambio di paradigma anche organizzativo culturale assistenziale che deve entrare nel sistema nel nostro sistema sanitario sociosanitario.

Ovviamente tutto questo è dentro la cornice della deontologia professionale, come abbiamo sancito con il codice deontologico che abbiamo ridefinito e aggiornato nel 2019 e che mette a punto molte definizioni etiche. L’articolo 28, a proposito della comunicazione – perché ovviamente non possiamo chiedere la collaborazione e la riflessione di chi si occupa di comunicazione per attività professionale e non fare anche noi la nostra parte – abbiamo determinato che l’infermiere, anche attraverso mezzi informatici e social media, debba comportarsi con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità. Debba tutelare la riservatezza delle persone degli assistiti ponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possono ledere i singoli le istituzioni il decoro e l’immagine della professione.

Quindi, con queste parole che sono la nostra Carta valoriale principale, testimoniamo anche l’impegno di una buona comunicazione che assumiamo noi infermieri per primi nei confronti delle altre professioni, della professione di giornalista, ma anche nei confronti del cittadino sperando di “contaminarci” in senso positivo a vicenda, perché veramente si possa tirare una linea e guardare al futuro rispetto a un nuovo paradigma della comunicazione, ma anche rispetto a una sinergia, una interconnessione tra chi fa comunicazione e chi deve pensare al contenuto che deve essere comunicato affinché si possa veramente fare un servizio utile al Paese ai nostri cittadini, ma anche alle professioni che ognuno per la propria parte rappresenta in questo consesso.

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