Report BFF di Farmafactoring: crisi di cure e personale con la pandemia

In Europa mancano medici e infermieri.

E nei paesi analizzati dalla Fondazione Farmafactoring per il rapporto 2022 della BFF Banking Group relativo ai paesi in cui opera: Italia, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna, la situazione ha assunto e assume particolare rilievo durante e dopo la pandemia.

Questa edizione del Report, che BFF ha commissionato a Fondazione Farmafactoring dal 2019, è stata realizzata dal professor Vincenzo Atella e dalla dottoressa Joanna Kopinska, e analizza e confronta i sistemi sanitari dei Paesi dell’UE in cui, appunto, BFF opera.

La IV edizione dell’Healthcare Report: “Sanità pubblica europea: un sistema unico per la salute dei cittadini dopo l’esperienza della pandemia di COVID-19”, offre una panoramica dei sistemi sanitari di questi Paesi, cercando di evidenziare le sfide comuni e i problemi specifici che potrebbero essere rilevanti dal punto di vista sia degli operatori del settore sia dei responsabili politici.

Secondo il rapporto, l’assunzione di personale infermieristico, in particolare, Slovacchia, Francia e Italia non raggiunge il numero di organici necessario e in Spagna, ad esempio, gli esperti sottolineano che si stima che ci sia una carenza di 120mila infermieri, un deficit che difficilmente potrà essere coperto nel prossimo futuro.

Le carenze di personale (sia attuali che previste) incidono sul sistema sanitario dei paesi.E a questo si affianca l’invecchiamento degli attuali organici che rappresenta un grave problema sistemico per la mancanza di generazioni in sostituzione di medici e infermieri.

Inoltre, altro risultato del rapporto è che la forza lavoro ha subito problemi di salute mentale.Lunghe giornate lavorative, scarsa assistenza professionale, grave carenza di personale e alta infezione da Covid-19 e i tassi di mortalità tra i lavoratori in prima linea, in particolare nelle prime fasi della pandemia, hanno lasciato il segno.

Durante la prima ondata della pandemia nel marzo 2020, le carenze di operatori sanitari causa pandemia sono aumentate del 62% e in quasi tutti i paesi sono stati documentati problemi di salute mentale.

Oltre l’80% degli infermieri in alcune nazioni ha riferito di aver sperimentato angoscia psicologica come conseguenza della pandemia.

Secondo i resoconti Oms, fino a 9 infermieri su 10 avevano affermato di volersi dimettere.

Per questo, spiega il rapporto, l’OMS ha esortato tutti gli Stati membri ad agire rapidamente attuando le seguenti dieci misure per migliorare la forza lavoro sanitaria e assistenziale, anche in contesti che già dispongono di una forza lavoro superiore alla media:

  1. sincronizzare l’istruzione con i bisogni della popolazione e le esigenze dei servizi sanitari;
  2. sostenere lo sviluppo professionale per dare alla forza lavoro nuove competenze e conoscenze;
  3. aumentare l’utilizzo di strumenti digitali a supporto della forza lavoro;
  4. creare piani per mantenere gli operatori sanitari in luoghi rurali e lontani;
  5. progettare ambienti di lavoro che supportino l’equilibrio tra lavoro e vita privata;
  6. tutelare il benessere fisico e psichico della forza lavoro;
  7. aumentare il potenziale di leadership nella governance e nella pianificazione della forza lavoro;
  8. migliorare la raccolta e l’elaborazione dei dati, nonché i sistemi informativi sanitari;
  9. aumentare la spesa pubblica per l’istruzione e la crescita della forza lavoro;1
  10. massimizzare l’allocazione delle risorse per le politiche della forza lavoro creativa.

Gli altri risultati del rapporto indicano che a quasi tre anni dall’inizio della pandemia, il virus minaccia ancora il mondo. Alla fine di novembre 2022, circa 2 milioni di persone sono morte di Covid-19 in Europa. Per quanto riguarda l’eccesso di mortalità, gli anziani (età>65) hanno rappresentato il 91% di tutti i decessi in eccesso nel 2020 e l’84% nel 2021. I pazienti soggetti a cure a lungo termine hanno rappresentato il 40% dei decessi per COVID-19 e rimangono oggi particolarmente vulnerabili.

Stato dei sistemi sanitari e punti di miglioramento
I sistemi sanitari erano – e sono tuttora – impreparati ad affrontare il doppio carico di malattie trasmissibili e non trasmissibili. Da un lato, hanno dovuto riorganizzarsi rapidamente, fornendo più letti e attrezzature ospedaliere. Hanno anche dovuto assumere nuovi operatori sanitari, e la mancanza di personale medico e infermieristico è senza dubbio uno dei problemi più importanti emersi dall’opinione degli esperti consultati. D’altra parte, i vincoli finanziari si sono rivelati stringenti, e ciò ha comportato spesso la revisione dei progetti di spesa in conto capitale e/o l’interruzione o il ritardo di progetti considerati non essenziali e di ordini di acquisto per articoli anch’essi non essenziali.

Questi cambiamenti hanno messo a rischio tutti i livelli di prestazione delle cure. L’aumento della spesa sanitaria non è sostenibile, e i governi dovranno ridurre i loro deficit a livelli gestibili una volta terminata la pandemia. In caso contrario, non saranno in grado di affrontare le sfide ordinarie, come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei costi sociali (in primis, pensioni e assistenza sanitaria). Anche nello scenario più favorevole, i Paesi dovranno far fronte a un debito significativo, il cui rimborso solleverà questioni importanti, soprattutto per quanto riguarda il principio di equità tra diverse generazioni.

Telemedicina, cyber security e raccolta dei dati
La telemedicina è diventata uno strumento prezioso e ampiamente disponibile in molti Paesi, per garantire l’assistenza e ridurre il rischio di esposizione di pazienti, operatori sanitari e popolazione al Covid-19. Tuttavia, se da un lato la telemedicina può aiutare a superare alcune barriere di accesso per le persone che vivono in località remote, dall’altro l’adozione diffusa di servizi digitali può aver esacerbato alcune delle disuguaglianze presenti prima della pandemia. Sono stati individuati diversi ostacoli alla teleassistenza: attribuzione delle responsabilità, rimborsi e problemi di sicurezza informatica, tutti aspetti che devono essere affrontati dai responsabili politici.

L’epidemia di Covid-19 ha reso evidente che l’UE manca di un’infrastruttura dedicata ai dati sanitari, che sia coerente in termini di disponibilità e comparabilità degli stessi.

Si riscontra una forte necessità di un’organizzazione centrale per la gestione dei dati sanitari a livello europeo, compresi i dati sulla salute pubblica interpretati nel senso più ampio del termine e con una natura permanente piuttosto che transitoria. Per promuovere realmente il miglioramento della salute della popolazione e la preparazione in materia di salute pubblica nell’UE, l’infrastruttura dovrebbe riguardare dati sanitari di diverso tipo, e assistere numerosi attori e agenzie a livello europeo.

Verso una cooperazione UE completa e inclusiva
La convergenza dei sistemi sanitari verso un paradigma di integrazione internazionale è improbabile, perché i costi per i bilanci nazionali sarebbero troppo elevati. Piuttosto che a un paradigma di integrazione, gli Stati membri sono favorevoli a un sistema di cooperazione. Tuttavia, date le minacce comuni, è auspicabile lo sviluppo di strategie condivise a livello UE.

In primo luogo, l’UE dovrebbe sviluppare un metodo condiviso per misurare le prestazioni dei sistemi sanitari, fissando standard minimi comuni di solidità. Inoltre, dovrebbe utilizzare le economie di scala della ricerca e delle conoscenze nel campo delle malattie non trasmissibili e implementare meccanismi di sorveglianza delle malattie e di consolidamento delle conoscenze scientifiche. Gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a fondo nella costruzione di partenariati sanitari aperti a tutti, garantendo la coerenza e la non sovrapposizione tra piccoli progetti e programmi diversi e disgiunti, con particolare attenzione alla misurazione delle disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria.

Comunicazione
Tutti i Paesi dell’UE devono concentrarsi sulla ricostruzione della fiducia nella ricerca scientifica e nella politica sanitaria pubblica, attraverso politiche di comunicazione sanitaria inclusive e flessibili. Il libero accesso alle informazioni e la discussione multilaterale sono fondamentali per dissipare le preoccupazioni dell’opinione pubblica.

La sensibilizzazione e la persuasione hanno dimostrato di avere più successo nell’ottenere tassi di vaccinazione più elevati rispetto agli obblighi di vaccinazione.

Nel complesso, il Report ha rilevato una bassa qualità della comunicazione di crisi. La capacità di comunicare in modo efficace e tempestivo è stata particolarmente scarsa sia nelle prime fasi della pandemia, sia quando nuove ondate e nuove varianti hanno colpito la popolazione.

Gran parte della responsabilità della deriva schizofrenica dell’informazione va attribuita all’incapacità della comunicazione istituzionale di occupare il centro della scena, offrendo messaggi coerenti e affidabili, e impedendo alla comunicazione politica di diffondere messaggi contrastanti, in quanto l’uso strumentale dell’informazione può creare una mancanza di fiducia tra Governi e cittadini.

La salute come bene pubblico europeo e globale
Infine, l’idea di non lasciare indietro nessuno non deve limitarsi ai confini dei Paesi del Consiglio d’Europa. L’Unione Europea dovrebbe distinguersi per l’impegno verso una risposta unica a una minaccia globale comune, per un maggiore sostegno al Covax e ad altri meccanismi di condivisione del rischio sanitario globale, per una solidarietà universale e il riconoscimento che test, cure e vaccini devono essere disponibili dovunque per garantire la sicurezza di tutti.

Il crollo dell’economia e la pressione inflazionistica probabilmente aggraveranno i problemi di finanziamento della spesa pubblica e di quella privata. Ciò implica che l’UE dovrebbe stanziare maggiori risorse per promuovere la salute degli individui svantaggiati e vulnerabili, e creare gruppi di assistenza sanitaria e sociale a livello locale o centrale per combattere le disuguaglianze. Poiché la concorrenza internazionale peggiora le disuguaglianze e i rischi per la salute, gli Stati membri dell’UE dovrebbero concentrarsi sulla creazione di partenariati sanitari aperti a tutti.

La recente crisi bellica ha messo a dura prova le disuguaglianze sia all’interno che tra gli Stati membri. I rifugiati hanno aggiunto ulteriore stress alla sanità europea, e l’integrazione è spesso inefficace, soprattutto per i sistemi sanitari sottofinanziati. Un chiaro esempio è la Polonia, che ospita più rifugiati ucraini di qualsiasi altro Paese dell’UE, il che significa che l’onere finanziario sul suo sistema sanitario, già sottofinanziato, aumenterà inevitabilmente. Se l’emergenza dovesse continuare nei prossimi anni, saranno necessarie misure sistemiche da parte dell’UE, in particolare per quanto riguarda il finanziamento e il trasferimento dei pazienti.

I recenti eventi ci ricordano inevitabilmente che viviamo in un mondo interconnesso. Come comunità globale, tutti abbiamo imparato che abbiamo bisogno di un approccio “One Health” basato sulla leadership multilaterale, sulla cooperazione e sulla condivisione di scienza e tecnologia. In termini operativi, One Health è ancora agli inizi. Ora, più che mai, dobbiamo riconoscere che la salute è un bene pubblico e che, se non abbiamo un approccio globale, pagheremo un prezzo molto più alto dal punto di vista economico e sociale.

A QUESTO LINK L’HEALTHCARE REPORT 2022