Calo iscrizioni, FNOPI: senza cambi di rotta a rischio l’articolo 32 della Costituzione

Calano ancora le domande di accesso ai corsi di laurea di Infermieristica: in alcuni atenei, per la prima volta, non raggiungono nemmeno il numero di posti a bando.

La riduzione media è del -10% medio rispetto allo scorso anno accademico (con il rapporto minimo domande/posti che il Paese abbia mai registrato): -12,6% al Nord, -15% al Centro e -5,7% al Sud (dati rilevati da Angelo Mastrillo, docente in organizzazione delle Professioni sanitarie dell’Università di Bologna).

Per questo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) lancia l’allarme: “Senza infermieri l’Italia non avrà più un SSN degno di questo nome, ci aspetta una lunga stagione assistenziale  e non saremo più in grado di garantire salute a tutti. È una prospettiva concreta, reale, che comporta perdite economiche, sociali, oltre che un restringimento dei diritti civili”.

La FNOPI chiede un intervento deciso e non più rinviabile delle istituzioni e, a fronte della situazione di fortissimo rischio, fissa i paletti inderogabili per il recupero dell’assistenza.

Le proposte della FNOPI

È necessario che la “questione infermieristica” sia affrontata nella sua totalità, sottolinea la Federazione. La sfida odierna sulla carenza di infermieri va affrontata, oltre che quantitativamente con l’offerta formativa, anche qualitativamente con l’evoluzione degli attuali percorsi formativi offerti ai giovani futuri infermieri, “i veri garanti dell’assistenza”.

Per invertire la rotta è necessario e non più rinviabile:

  1. il finanziamento delle lauree magistrali abilitanti a indirizzo clinico per avere infermieri specialisti in grado di gestire una filiera assistenziale composta da più professionisti con livelli di competenze diversificate per rispondere ai bisogni sempre più complessi della popolazione;
  2. il finanziamento dei docenti infermieri (necessari a garantire la qualità formative e quindi dell’assistenza) che devono rientrare sotto il governo del ministero dell’Università e non più, come indica il Dlgs 502/1992, sotto quello delle aziende;
  3. la revisione dei criteri di accesso ai corsi di laurea triennali (test di ammissione separato con nuove modalità; autonomia e specificità della selezione al corso).

La Federazione degli infermieri chiede un cambio immediato dei modelli organizzativi con maggiore autonomia infermieristica e una nuova riqualificazione, il riconoscimento della  branca assistenziale infermieristica nei LEA e nuovi sbocchi di carriera e professionali.

E naturalmente la retribuzione. Va aumentato subito il potere contrattuale e creata un’area contrattuale separata. Va aumentata anche l’indennità di specificità infermieristica di almeno il 200% (216 euro lordi/mese).

Per la distribuzione geografica degli infermieri e per evitare fughe sull’asse Nord-Sud (così come all’estero) si deve poi intervenire subito sulle modalità di reclutamento e ingaggio per coprire sia i singoli servizi sia le singole aree geografiche con i più giusti e motivati professionisti, in coerenza con le competenze e le specializzazioni grazie a concorsi mirati e infungibilità.

“Nessuna altra soluzione – dichiara la presidente della FNOPI, Barbara Mangiacavalli – può essere ritenuta adeguata se prima non saranno messe in atto queste nuove misure strutturali. Senza un deciso e immediato cambio di rotta è a rischio l’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione”.

La situazione attuale: i rischi e le prospettive future senza interventi

Per la FNOPI in questo senso, i problemi da affrontare sono tre: rispetto alla demografia, il calo di giovani che porterà inevitabilmente a una riduzione dei possibili candidati futuri; la necessità che la professione abbia sbocchi di carriera e professionali strutturati e costanti; l’aumento del costo della vita, che rende le scelte dei giovani più “stanziali”, scoraggiando la mobilità universitaria in regioni distanti da quella di residenza.

E ovviamente la retribuzione tra le più basse d’Europa completa il quadro negativo: in Italia vale il 23% in meno rispetto alla media OCSE.

I numeri della carenza infermieristica ormai sono evidenti: la Corte dei conti nella sua memorai al NADEF 2022 l’ha ufficializzata in -65.000 unità e con il decreto 77/2022 di riordino dell’assistenza sul territorio (per attuare il PNRR) ne servono almeno altri 20.000 (quelli di famiglia e comunità).

Nei prossimi anni poi la situazione è destinata a peggiorare: i 10.000 pensionamenti annui di infermieri dal 2029 raddoppieranno; quasi 30.000 infermieri italiani sono andati all’estero per le scarse prospettive del nostro Paese (e la formazione di ognuno è costata in meda allo Stato circa 30.000 euro) e ne continuiamo a perdere circa 3.000-3.500 ogni anno.
Al contempo, rileviamo oltre 13.000 infermieri stranieri in servizio, a vario titolo, sul territorio nazionale senza iscrizione agli Ordini e senza i dovuti controlli sulla conoscenza della lingua (in virtù delle deroghe prevista da decreti emergenziali), che quindi lavorano in un contesto di totale insicurezza delle cure.

È cambiato il modo di fare sanità, ma gli standard ancora no: gli ultrasessantacinquenni sono il 25% della popolazione e a loro, come alle altre categorie di cittadini servono poche e puntuali prestazioni cliniche e lunghe stagioni assistenziali che solo gli infermieri possono garantire, conclude la FNOPI.