POSIZIONE FNOPI SULLA CONTENZIONE DEL PAZIENTE

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A partire dagli anni ’80 la contenzione del paziente è stata messa in discussione sia in termini di efficacia sia sul piano etico. Ancora oggi è acceso il dibattito per definire se è opportuno e quando ricorrere a mezzi di contenzione.
Su questo argomento la Federazione è stata ascoltata in audizione al Senato.
La contenzione, infatti, oltre a rappresentare una limitazione della libertà della persona, può avere ripercussioni sul piano psicologico del paziente e dei familiari e determinare una sequela di conseguenze fisiche al paziente “contenuto”.
Per ridurre l’uso dei mezzi di contenzione è consigliata l’informazione di tutti gli operatori sanitari sui rischi e i problemi associati all’uso di tale metodica. Le strutture sanitarie dovrebbero, a tal proposito, prendere in esame l’organizzazione aziendale e valutare l’opportunità di chiedere la consulenza di esperti per:

  • effettuare specifici interventi di formazione;
  • attivare una verifica accurata e sistematica dei soggetti sottoposti a contenzione per valutare se vi è la possibilità di rimuoverla;
  • informare la famiglia e se possibile il soggetto in cura;
  • intervenire sull’ambiente per ridurre il rischio di cadute (per esempio usando materassi concavi, sistemare ai bordi del letto una coperta arrotolata, sistemare dei tappeti morbidi ai piedi del letto);
  • personalizzare la cura e l’assistenza al paziente.

Essendo le contenzioni riconducibili a pratiche terapeutiche previste nel Profilo Professionale dell’infermiere (DM 739/94), per le responsabilità conseguenti l’infermiere potrà direttamente o in concorso con altri “contenere” solo dietro una prescrizione medica “ex ante“, registrata nella cartella clinica e/o integrata, motivata e circostanziata rispetto alla durata del trattamento e al tipo di contenzione e modalità da osservare.
In situazioni che non consentano di agire secondo una prescrizione o in assenza, ad esempio, del medico nell’Unità operativa interessata (psichiatria, geriatria, medicina, pronto soccorso, 118, terapie intensive ecc.) l’infermiere dovrà dimostrare di aver agito in stato di necessità, fatto questo tutt’altro che scontato.
Il professionista sanitario infermiere deve porsi il problema dell’effettiva efficacia terapeutica della contenzione sia quando considerata necessaria, sia quando ritenuta dannosa, sia quando considerata illegittima, esaminando i problemi di carattere organizzativo, ma soprattutto giuridici.

Il concorso della componente infermieristica alla pratica delle contenzioni deve essere sempre valutato di caso in caso, assegnando una valenza determinante sia alla corretta applicazione delle procedure diagnostico terapeutiche, sia alle prescrizioni mediche e alle direttive ricevute e tenendo sempre ben presente che il consenso informato non deve essere “acquisito” o “estorto” o “rinviato sine die” per giustificare i trattamenti coercitivi quanto, piuttosto, per garantire un minimo di autodeterminazione all’utente nel momento in cui si incide sulla sfera delle sue libertà individuali: il prevalente accoglimento del principio di beneficialità su quello dell’autonomia per il quale il sanitario che ha in cura il suo assistito è autorizzato a decidere per lui e il suo bene, è tutto da discutere.

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