RUOLO DELL’INFERMIERE DI FAMIGLIA E DI COMUNITÀ

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Nelle more del riconoscimento di specializzazioni mirate per la professione infermieristica e nell’ottica anche delle indicazioni di livello europeo e nazionale che prevedono l’opportunità dell’adozione di modelli innovativi di prevenzione e gestione proattiva della cronicità (la cui situazione è stata di recente messa in evidenza dal rapporto Osservasalute), caratterizzati da una forte integrazione dei livelli assistenziali e delle figure professionali coinvolte, appare prioritaria l’istituzione omogenea su tutto il territorio nazionale della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità, già inserita nelle ultime bozze del nuovo Patto della Salute 2019-2021.
Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave. Nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno soli, e di questi, 1,2 milioni avrà più di 85 anni.
L’Infermiere di famiglia e di comunità integra con un ruolo che non è nuovo ma che ha bisogno di essere formalizzato, sostenuto e reso evidente, preventivo, proattivo e collaborativo, il contributo degli attori delle Cure Primarie, delle Cure Intermedie e della Residenzialità Sociosanitaria, per la salute dei cittadini, collaborando con i Medici di Medicina Generale in primis.
La proattività è caratteristica specifica dell’IFeC e tale aspetto è riconosciuto e promosso dall’OMS fin dal 1998, nel documento salute per tutti nel 21° secolo, e sostenuto dall’Unione Europea per il raggiungimento degli obiettivi di salute fondamentali allo sviluppo dell’intera società. Secondo l’Oms l’infermiere deve consolidarsi ancora di più come professionista che aiuta gli individui ad adattarsi a malattia e disabilità cronica trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio della persona assistita e della sua famiglia. E oggi l’infermiere è un professionista specializzato, competente, responsabile e riconosciuto tale da chi assistiamo.
I dati a nostra disposizione dove il modello è già attivo ci dicono che l’infermiere di famiglia e comunità evita ricoveri impropri, previene e diminuisce le complicanze,  promuove auto cura e consapevolezza generando appropriatezza economica oltre clinica proprio partendo dall’educazione al singolo e alle comunità, armonizza i percorsi aumentando fiducia nel sistema e facendo diminuire i contenziosi, ma soprattutto risponde ai bisogni delle persone che dopo brevi esperienze di ospedalizzazione necessitano di  lungo supporto assistenziale a volte coincidente con la vita stessa delle persone.
Il limite attuale è che tutto ciò avviene soprattutto in periferia, nelle realtà più piccole e senza un’organizzazione istituzionalizzata che sarebbe necessaria per allargare il metodo anche alle grandi città e alle metropoli e uniformare il modello di assistenza. Come evidenziato dall’OCSE evidenti conflitti di potere tra le professioni ostacolano i processi di cambiamento e solo la competenza dei professionisti, sostenuta da apposita legislazione, può rendere l’applicazione vincente.
Questo chiedono i cittadini. Questo chiedono i professionisti. Questo ci chiedono le associazioni, le società scientifiche. Questo ci indicano gli studi, i dati. Questo ci chiede oggi la condizione sociale, sanitaria, economica del nostro paese. Il futuro del benessere dei nostri cittadini passa dall’implementazione dell’assistenza infermieristica special modo di famiglia e comunità, ben integrata in équipe ampie, a casa delle persone. Non possiamo più aspettare e questo Patto è la nostra più grande opportunità OGGI di farci trovare preparati ai bisogni reali dei nostri cittadini. Non vorremmo un documento “salute per tutti nel 22° secolo” che riprende quando si sta dicendo ormai da 20 anni.
L’infermiere di famiglia è uno dei molteplici e importanti esempi delle competenze sviluppate dalla nostra professione, ma ce ne sono molte altre anche riguardo all’assistenza ospedaliera e nell’emergenza urgenza. Proprio per questo auspichiamo che il Nuovo Patto per la salute sia volano per lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze professionali degli infermieri.

Così il SSN si innova, si rafforza e cambia nella direzione giusta, quella che serve ai nuovi bisogni di salute delle comunità.

Audizione al Senato 28 gennaio 2020 sul Ddl Marinello

L’infermiere di famiglia responsabile delle cure domiciliari del paziente.

E le cure domiciliari, in quanto sostitutive, ma anche integrative e continue, del ricovero ospedaliero, sono gratuite e non soggette a ticket, indipendentemente dal reddito.

A stabilirlo è il sul disegno di legge 1346 (primo firmatario Gaspare Antonio Marinello, M5S) “Introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e disposizioni in materia di assistenza infermieristica domiciliare”, su cui la FNOPI ha svolto un’audizione il 28 gennaio 2020.

Secondo la FNOPI, che ha sottolineato l’importanza dei contenuti del Ddl, sarebbe utile, anche in aderenza a quanto previsto nel nuovo Patto per la salute approvato in Stato-Regioni – del quale il Ddl dovrebbe rappresentare la garanzia di applicazione uniforme in tutte le Regioni e dare le indicazioni per essere sviluppato – e in coerenza con quanto descritto nello stesso Ddl, estendere la definizione dell’infermiere di famiglia a infermiere di famiglia/comunità.

L’infermiere così inquadrato è infatti un professionista che agisce su livelli individuali, familiari e comunitari e non potrebbe essere altrimenti se vogliamo riformare l’assistenza territoriale in modalità proattività, lavorando sulle reti, sulle risorse e sui determinati di salute che non possono e non devono fermarsi al singolo individuo.

Inoltre, per mettere a regime il modello, è anche importante che l’infermiere di famiglia e comunità abbia un bacino di popolazione di riferimento stabilito, variabile a seconda dei contesti geografici e demografici, che racchiuda tutti e non solo persone già inserite in un registro di cronicità e bisogno assistenziale.

L’infermiere di famiglia e comunità deve diventare un riferimento riconoscibile e raggiungibile liberamente sia da quella popolazione di riferimento ma anche dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che hanno in carico quella stessa popolazione. E ovviamente tale riconoscibilità e raggiungibilità avviene anche al contrario dall’Infermiere di famiglia e comunità.

Secondo i dati illustrati dalla FNOPI all’audizione, dove il modello è già attivo l’infermiere di famiglia e comunità evita ricoveri impropri, previene e diminuisce le complicanze, promuove auto cura e consapevolezza generando appropriatezza economica oltre clinica proprio partendo dall’educazione al singolo e alle comunità, armonizza i percorsi aumentando fiducia nel sistema e facendo diminuire i contenziosi, ma soprattutto risponde ai bisogni delle persone che dopo brevi esperienze di ospedalizzazione necessitano di lungo supporto assistenziale a volte coincidente con la vita stessa delle persone.

L’infermiere di famiglia/comunità si è dimostrato il professionista che mantiene il più stretto contatto con il cittadino della propria zona di competenza e rappresenta la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica generale in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità. E ha un impatto anche nell’attività educativa e di auto addestramento non solo dei pazienti ma anche dei caregiver che sono anch’essi il secondo carico di complessità che si affianca la persona assistita sia per le risorse che per le casse dello Stato.

Una nota semmai che meriterebbe maggiore considerazione e che la FNOPI ha sottolineato è quella che riguarda la carenza di infermieri, molto evidente così come per altre figure professionali sanitarie, ma che nell’ottica della realizzazione dell’infermiere di famiglia/comunità (Ifec) assume anche maggior rilevanza.

Sul territorio, per rispondere ai bisogni di salute degli oltre 24 milioni di cittadini con patologie croniche o non autosufficienza, la Federazione nazionale degli infermieri ha calcolato la necessità media di almeno un infermiere ogni 500 assistiti (assistenza continua) di questo tipo: circa 20mila infermieri di famiglia/comunità.

Un numero che è desumibile anche calcolando un infermiere di famiglia e comunità ogni 3mila cittadini circa e ovviamente nelle Regioni in cui il numero di anziani/cronici è più alto o con profili di densità abitativa ridotti o numerose comunità interne, il fabbisogno è probabile che aumenti.

L’infermiere di famiglia/comunità inoltre può rappresentare una soluzione per quanto riguarda l’assistenza nelle cosiddette “aree interne”: si tratta della cura di oltre un terzo del territorio italiano (le zone montane coprono il 35,2% e le isole l’1% della Penisola) e la collaborazione tra infermieri di famiglia e di comunità sul territorio – sociale e di cura – per il sostegno in quelle zone che oggi spesso vengono spopolate perché prive proprio di supporti sociali e più in generale di servizi pubblici, rappresenterebbe anche uno strumento utile alla riduzione delle attuali disuguaglianze.

La FNOPI ha concluso sottolineando l’opportunità e la bontà del Ddl all’esame del Parlamento, che, con eventuali, possibili integrazioni, dovrebbe essere approvato al più presto per consentire a tutti i cittadini di poter usufruire dei vantaggi descritti e al sistema di garantire una organizzazione maggiormente appropriata e mirata non solo alla cura e all’assistenza, ma anche alla vera e propria prevenzione, sostegno e indirizzamento e non solo delle persone croniche.

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