RAFFORZARE L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA SUL TERRITORIO: LA NECESSITÀ DEL FUTURO

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Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave.
E nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli, e di questi, 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni.
Il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità fondata sulla rete territoriale di presidi sociosanitari e socioassistenziali, a oggi ancora un privilegio per pochi, con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari. Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 ce ne saranno quasi il doppio: 63.
Essere disabile vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che, solo nel 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie. I modelli che l’indagine riporta sono molti e di molte Regioni benchmark, ma la sostanza di tutti è che l’intervento dell’Infermiere di famiglia e di comunità si esplica a più livelli e comprende azioni che si rivolgono alla persona, al nucleo familiare e comunitario per le interconnessioni che si determinano nelle relazioni ed influenze reciproche, il sostegno al caregiver, l’educazione terapeutica, le attività di sostegno al self-management,  lo sviluppo del capitale sociale, la costruzione della rete di sostegno, ecc. L’obiettivo è quello di sviluppare un modello di assistenza che metta gli anziani al centro dell’assistenza sanitaria e sociale consentendo loro di rimanere a casa il più a lungo possibile, modelli in cui si dichiara nelle conclusioni quanto la dimensione assistenziale risulti strategica.
Respingiamo con forza ogni tentativo di lasciare le cose così come sono oggi, anche perché è come aprire la strada a ulteriori disuguaglianze che già penalizzano le fasce più fragili dei cittadini. Si vuole far rimanere immutato l’attuale paradigma a svantaggio del cittadino per  logiche occupazionali che ormai non si mantengono nemmeno più velate, guardando con diffidenza ad ogni forma di task shifting in una immutabile e pericolosa cristallizzazione professionale, impedendo lo sviluppo di professioni e di interconnessioni multi professionali di pari livello che possono fare la differenza in questo preoccupante quadro epidemiologico e sociale, invocando posizioni e ruoli inalienabili come fossero un diritto intoccabile, bloccando modelli organizzativi internazionali e nazionali virtuosi con proclami che instillano dubbi su sicurezza e qualità delle cure.
Un cittadino su due reputa che il numero di infermieri sia insufficiente per garantire l’assistenza non solo in ospedale ma anche sul territorio: qui i cittadini chiedono soluzioni che promuovano la figura del professionista nella realtà quotidiana della persona, vorrebbero essere assistiti da un infermiere nella farmacia dei servizi (65,5%), poter disporre di un infermiere di famiglia/comunità (78,6%), avere la possibilità di consultare un infermiere esperto in trattamento di ferite/lesioni cutanee (86,1%) ma anche uno a disposizione nei plessi scolastici per i bambini e ragazzi che ne potrebbero avere bisogno (84,1%).

La FNOPI ha calcolato che per far fronte nell’immediato al bisogno di salute sul territorio delle persone con patologie croniche e non autosufficienza, oltre ai medici di medicina generale per quel che attiene alla diagnosi e alla terapia, servono per l’assistenza continua di cui questi soggetti hanno bisogno almeno 31mila infermieri (uno ogni 500 persone con queste caratteristiche, che in Italia sono oltre 16 milioni).

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