L’infermiere ricopre un ruolo fondamentale nella riduzione dei rischi infettivi e nella prevenzione delle infezioni nei confronti dei pazienti che vivono una situazione di criticità. La prevenzione delle infezioni è correlata in gran parte a procedure assistenziali di ampia diffusione, dal lavaggio delle mani al rispetto dell’asepsi nelle procedure invasive fino alla disinfezione e la sterilizzazione dei presidi sanitari. Ma l’infermiere ha un compito fondamentale nel monitoraggio, identificazione ed educazione alla prevenzione nei confronti dei cittadini e dei pazienti. Siamo in prima linea per garantire comportamenti professionali sicuri, in grado di ridurre in modo importante il rischio di contrarre infezioni. Per dirla con lo slogan della nostra campagna 2019 della giornata internazionale dell’infermiere, la sanità non funziona senza infermieri.
In tutto il mondo, le infezioni correlate all’assistenza sono l’evento avverso più frequente in sanità e costituiscono la complicanza più grave nella cura dei pazienti ospedalizzati. L’ECDC informa che la probabilità di contrarre infezioni durante un ricovero ospedaliero è del 6%, con 530 mila casi ogni anno.
La FNOPI è intervenuta alla presentazione dei dati raccolti ed elaborati da Amici Onlus relativamente alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino e ha evidenziato come, da più di trent’anni, circolari ministeriali prevedono la figura dell’Infermiere specialista del rischio infettivo (ISRI) con diverse funzioni, a partire dalla formazione e informazione del personale sanitario e dei pazienti. Tuttavia, da un’indagine ancora in corso a cura di Anipio (associazione che riunisce gli infermieri specialisti del rischio infettivo), emerge chiaramente che sono ancora troppo poco presenti in tante aree del Paese, innanzitutto per scarsità di investimenti nel personale (alle prese con profonde carenze) e nella formazione. La presenza di questa figura non è uguale in tutte le Regioni, esistono delle profonde disuguaglianze; addirittura in alcune, come la Calabria, manca totalmente la sua istituzione.
Lo standard stabilito dalla circolare del Ministero della Salute 85/1985 dovrebbe essere di un infermiere ISRI a tempo pieno ogni 250 posti letto, anche se è molto attuale l’esigenza di rivedere tale standard visto che la letteratura riporta anche standard di 1 ISRI ogni 100/200 posti letto. Attualmente siamo ben lontani da questi livelli in un contesto in cui mancano all’appello 30.000 infermieri su scala nazionale, con una carenza stimata al 2023 di 58.000 unità.
Quanto alla ricerca presentata da Amici Onlus, dei 2.452 pazienti intervistati tra il novembre 2018 ed il gennaio 2019, il 22,68% è stato ricoverato e di questi, il 16,97% ha contratto un’infezione a seguito di ricovero. Di questi, il 9,24% è stato colpito da un’infezione proprio a seguito dell’intervento chirurgico. Il 58,61% del campione ha effettuato esami endoscopici; il 2,74% con diagnosi di infezione a seguito di esame endoscopico. I dati che emergono dalla ricerca mettono anche a fuoco in modo chiaro la mancanza di conoscenza riguardo le pratiche di prevenzione delle contaminazioni: 1 persona su 4 non ha ricevuto alcuna informazione sulla prevenzione delle infezioni prima del ricovero o di un esame diagnostico; 6 su 10 non sono a conoscenza di procedure di sicurezza per evitare contaminazioni e, ancora, 1 persona su 4 non è sicura riguardo le proprie conoscenze per evitare di infettarsi.
Un ambito, questo, in cui la professione infermieristica può rappresentare un vero baluardo per invertire la tendenza. Il costo stimato della gestione delle infezioni in Italia è oggi pari a un miliardo di euro.