No ai "tempari": il Tar Lazio boccia la delibera della Regione Lazio che li aveva introdotti

“Il provvedimento, sebbene qualificabile alla stregua di atto di alta amministrazione, risulta in ogni caso sfornito di ogni minimo substrato di natura motivazionale. Di qui l’accoglimento altresì di tale specifica censura.
In conclusione il ricorso è fondato per le ragioni sopra indicate e deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento del DCA in epigrafe indicato”.

Conclude così il Tar Lazio la sua sentenza 06013/2018, pubblicata il 29 magio, con cui annulla i ‘tempari’ – giudicandoli illegittimi –  che individuavano una durata massima per 63 tra esami e visite specialistiche, introdotti unilateralmente dalla Regione Lazio un anno fa.

La sentenza accoglie un ricorso del Sumai, il sindacato degli specialisti ambulatoriali, ma rappresenta una guida e un precedente per qualunque altro tentativo di introdurre nell’assistenza “prestazioni a tempo”.

Tre le principali considerazioni proposte dai medici e accolte dai giudici del Tar.

La prima, che ‘eventuali modifiche al sistema riguardante numero e durata delle prestazioni erogabili dovrebbero essere unicamente riservate  alla contrattazione collettiva tra la competente amministrazione di settore da un lato e le categorie professionali maggiormente rappresentative dall’altro lato’.

La seconda, la violazione dell’articolo 27 dell’Accordo collettivo nazionale di categoria, ‘nella parte in cui si prevede una determinata autonomia di giudizio, in capo al singolo professionista, circa la congruità del tempo da riservare alle singole visite’.

La terza è la ‘lesione delle prerogative di autodeterminazione dei singoli specialisti’, secondo ‘quanto previsto dal Codice di Deontologia Medica: gli articoli 3 e 4, innanzitutto, che ribadiscono la ‘libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità’ del medico e, in particolare, (art.3) la autonomia e responsabilità della diagnosi medica. Ma anche il ‘6 (secondo cui “Il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza”), il 13 (secondo cui le prescrizioni mediche, oltre ad essere sottoposte ad un processo pienamente autonomo e responsabile da parte del medico, sono non delegabili e debbono “far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico”), il 20 (secondo cui la relazione tra medico e paziente è tra l’altro fondata “su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura”) e il 33 (secondo cui “Il medico garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura”).

 

Tutte disposizioni – si legge ancora nella sentenza – da cui si evince, nella sostanza, che il medico deve poter avere a disposizione un tempo minimo, onde poter svolgere le proprie funzioni in modo autonomo e responsabile, la cui durata non può che essere rimessa alla sua unica valutazione discrezionale e con esclusione, dunque, di indicazioni rigidamente e astrattamente predeterminate da fonti esterne quali quelle di specie”.

 

Contro i “tempari” si erano già espressi a suo tempo le Federazioni dei medici e degli infermieri.

 

“No a qualsiasi tipo di tempario: l’essenza delle nostre professioni consiste anche in una dimensione umana che non può essere contingentata ai minuti che la burocrazia ci concede”, ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente nazionale della Federazione degli infermieri.



“Dobbiamo disegnare e proporre insieme soluzioni per cambiare modelli ormai desueti che non valorizzano a sufficienza l’integrazione professionale – ha aggiunto Mangiacavalli. E questo non si fa con i “tempari” e i minutaggi”. Il nostro cammino comune è a vantaggio dell’organizzazione del Ssn e soprattutto delle persone. E in questo la sentenza del Tar ci dà ragione”.

La Fnomceo esprime grande soddisfazione perché, una volta di più, i giudici ribadiscono quello che non ci  stancheremo mai di affermare: i principi di autonomia, indipendenza, libertà e responsabilità che devono informare ogni atto della nostra professione. ” è il commento del presidente, Filippo Anelli – Non accetteremo mai alcuna limitazione e condizionamento di queste nostre prerogative irrinunciabili per tutelare la salute dei cittadini e pertanto siamo sempre pronti a difenderle in ogni sede”.

Questa è una vittoria anche dei pazienti- aggiunge Antonio Magi, Segretario Generale del Sumai, il sindacato che ha vinto il ricorso -. poiché a loro il professionista, lo specialista ambulatoriale, potrà dedicare tutto il tempo necessario. Le liste d’attesa infatti non si abbattono con la ricetta della Regione Lazio quanto piuttosto, come dice il Tar, assumendo il personale, rispettando il numero di ore che l’Accordo collettivo nazionale riconosce alla specialistica e sostituendo i medici andati in pensione con colleghi più giovani”. 

Il tempo della comunicazione e dell’ascolto sono fondamentali per la crescita della relazione di cura – conclude Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del Malato – Cittadinanzattiva -. Sono i momenti nei quali la relazione tra medico e paziente trova la sua massima espressione. Senza comunicazione non c’è alleanza, non c’è rapporto di fiducia. Senza ascolto il Servizio Sanitario Nazionale diventa una catena di montaggio, in cui il cittadino è un mero osservatore e il medico un esecutore. Il principio secondo il quale il tempo della comunicazione è tempo di cura non è più solo un precetto deontologico, ha forza di legge. Ora deve avere anche cogenza di Legge, deve cioè essere pienamente applicato. Ben venga dunque questa sentenza, che sarà sicuramente sentenza pilota presso i Tribunali Amministrativi”. 

 LA

 SENTENZA