La professione di infermiere fa parte di quelle regolamentate (per le quali è necessaria l’iscrizione a Ordini, Collegi, albi, registri pubblici) i cui titoli di formazione sono riconosciuti automaticamente dalle autorità degli Stati membri Ue (grazie all’armonizzazione dei percorsi formativi in tutti gli Stati membri). Questo si traduce nella possibilità di libero scambio a livello europeo dei professionisti e proprio in questo senso, tra le condizioni per il parere favorevole della XI Commissione Igiene e Sanità del Senato alla Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea per l’anno 2015, è stata prevista la necessità che, nell’attuazione della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali (dall’estero e per l’estero), si seguano le esigenze di mobilità dei servizi professionali con il mantenimento dell’assetto attualmente previsto dall’ordinamento nazionale, secondo il quale le professioni sanitarie sono regolamentate per tutelare la salute del paziente che fruisce delle prestazioni professionali. Ed è necessario anche considerare le problematiche legate alla determinazione dei fabbisogni del personale sanitario, alle politiche di programmazione, ma anche al fatto che andrebbe riconosciuto un diverso livello di inquadramento (all’estero è già prevista la figura dell’infermiere specialista), legato alla maggiore e riconosciuta valenza della nostra preparazione universitaria. In questo senso sarebbe necessario prevedere forme di tutela per i professionisti italiani che scelgono di lavorare all’estero.
Attualmente numerosi giovani infermieri neolaureati scelgono di lavorare all’estero perché meglio retribuiti e con una occupazione certa. Perché questo fenomeno si fermi e per facilitare l’eventuale rientro di chi già lavora oltre confine in Italia, andrebbero risolte alcune questioni. Prima di tutto lo sblocco del turn over. Poi sistemare definitivamente la questione del precariato alla quale oggi è stata data una soluzione solo parziale, consentendo inquadramenti limitatissimi e solo di alcune tipologie di personale. E infine dare possibilità di maggiore qualificazione professionale in analogia a quanto già avviene ed è codificato all’estero anche per permettere, al rientro in Italia, di spendere le competenze apprese all’estero e che in Italia non potrebbero essere agite in egual modo.