Regionalismo differenziato: se il Patto per la salute scioglierà i nodi l’autonomia potrebbe essere superata

Regionalismo differenziato: per le Regioni che lo hanno chiesto ha lo scopo di curare e assistere meglio i nostri cittadini, grazie all’esempio per tutti e al patrimonio che si crea con le sperimentazioni possibili di nuovi modelli. Tanto che secondo l’Emilia-Romagna se nel Patto per la salute si troveranno tutte le risposte alle richieste delle Regioni già avanzate nell’iter del progetto, la richiesta di autonomia in sanità potrà anche diventare inutile.

 

 

Nessun indietreggiamento del sistema e del servizio sanitario nazionale: i diritti di salute devono essere esigibili in tutte le regioni nello stesso modo e il servizio sanitario universale ne è la garanzia.

 

Ad affermarlo sono, tra le altre indicazioni, gli assessori alla salute di Lombardia, Giulio Gallera ed Emilia Romagna, Sergio Venturi, in occasione del seminario di studio organizzato dalla Federazione nazionale degli Ordini degli infermieri (FNOPI) a cui sono iscritti gli oltre 450mila professionisti che operano in Italia e al quale hanno partecipato i presidenti degli Ordini provinciali degli infermieri per fare il punto e, soprattutto, chiarezza, sulle proposte di autonomia differenziata di alcune Regioni italiane.

 

“Quello del regionalismo differenziato – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI, al termine dei lavori – è un tema che a quanto pare soffre di fake news: il nostro obiettivo, con tutto il garbo istituzionale di cui l’argomento ha necessità, è di contribuire a dare strumenti conoscitivi appropriati e in questo senso e quello che emerge non è la voglia di andare avanti in maniera individuale di queste Regioni, ma di essere da sprone per tutto il paese”.

 

Che le disuguaglianze ci sono nell’assistenza e nella cura è indiscutibile e Tonino Aceti, portavoce FNOPI, ha sottolineato le più evidenti e significative: una speranza di vita che in Campania è di 78,9 anni per gli uomini e di 83,3 anni per le donne, a Trento diventa rispettivamente di 81,6 e 86,3 anni; 12 Regioni inadempienti nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza stando alle anticipazioni del Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei Lea; livelli di imposte regionali, provinciali e comunali sulle famiglie in molte Regioni inversamente proporzionali alla qualità e accessibilità dei servizi che sono in grado di garantire alle comunità, con livelli critici in Campania e Calabria. Si parla di Regionalismo differenziato nelle competenze delle Regioni ma già esiste un regionalismo differenziato nei diritti dei cittadini e le disuguaglianze non sono un problema solo di questi anni, vengono da molto più lontano. Era proprio il Cnel, già in una sua indagine del 1982 sullo stato di attuazione del SSN, a concludere che ‘va aumentando il divario tra le regioni più progredite e quelle a più basso grado di sviluppo, risultato questo che costituisce una grave contraddizione rispetto ad uno dei principi fondamentali della riforma’.  E’ stato importante il ruolo delle Regioni nella riduzione del deficit tra il 2006 e il 2016 passando da 6 mld a 1 mld, ma i dati ci consegnano anche un alert molto importante proprio in materia di Autonomie. Sono infatti le Regioni con Autonomia speciale nel 2017 a pesare maggiormente sul disavanzo totale delle Regioni, prima quasi del tutto assorbito dalle Regioni in Piano di rientro, come pure risultano tutte e cinque inadempienti sui LEA in base alle anticipazioni del Nuovo Sistema di Garanzia. E’ quindi necessario approfondire ulteriormente le proposte di  Autonomia Differenziata ma è fondamentale contemporaneamente capire quali innovazioni introdurre nella governance del SSN per portare le Regioni più difficoltà sui servizi ai livelli delle migliori, perché l’obiettivo di tutti deve esser quello di garantire un SSN solidale, equo e universale in tutte le parti del nostro Paese.

 

“Nella fase attuale – ha sottolineato Davide Servetti, segretario scientifico della Società italiana di diritto sanitario (SoDiS) – sembrano in via di positivo chiarimento alcuni nodi che avevano preoccupato una parte degli osservatori, come la necessità di assicurare una partecipazione effettiva del Parlamento (che potrebbe essere coinvolto anche prima della conclusione delle intese) o il rispetto dell’articolo 119 Cost. (che garantisce la perequazione finanziaria e la corrispondenza tra funzioni e risorse). In sanità, particolare attenzione va ora data all’esigenza che l’intesa e la legge di differenziazione individuino precisamente i limiti statali derogabili dalla Regione interessata, sapendo che il SSN ha sue coerenze interne e alcuni principi devono necessariamente valere per tutte. Se la differenziazione punterà a sviluppare le migliori pratiche che stanno dentro le coordinate fondamentali del sistema, verrà colta la maggiore opportunità offerta dall’art. 116, terzo comma: la possibilità di sperimentare modelli virtuosi un domani estensibili ad altre Regioni”.

 

“Non credo – ha detto Andrea Urbani, direttore generale della Programmazione del ministero della Salute – che le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata rifiuterebbero ragionamenti diversi se si dessero risposte ai loro bisogni e non limitazioni alle loro autonomie. I tetti ai singoli fattori di spesa sono strumenti per raggiungere un obiettivo, l’equilibrio di bilancio, ma dove sono stati raggiunti non è corretto che siano ancora l’ago della bilancia delle scelte e dell’utilizzo dei fattori produttivi. Una parte del paese non funziona perché ha dimostrato una minore capacità amministrativa, e non per carenza di risorse. Va lasciata maggiore autonomia a chi negli anni ha dimostrato di sapersela meritare. Mi auguro si discuta di tutto questo nel prossimo Patto della salute, più che su singole opzioni e richieste.  Oggi siamo in equilibrio – ha concluso -, ma tra quattro-cinque anni il sistema esploderà per l’evoluzione dell’epidemiologia, per le novità della scienza: dobbiamo pensare a nuove e più evolute forme di governance, prendendo anche atto che in alcuni casi l'istituto del piano di rientro così come pensato ha finito più per tutelare più le singole amministrazioni locali anziché i cittadini che dovevano essere amministrati”.

 

“Ci stiamo muovendo nella logica dell’unità nazionale – ha assicurato Giulio Gallera -, per un sistema che deve essere uniforme, ma anche virtuoso e che così rischia di non esserlo in parte del paese. Le differenze c’erano prima: non creiamo noi differenze con l’autonomia differenziata. È migliorata l’economia, va riconosciuto a tutte le regioni. Chiediamo libertà di organizzazione e gestione delle risorse. Non c’è volontà di agire su un residuo fiscale, né di togliere fondi perequativi e di solidarietà, ma solo un utilizzo più autonomo delle risorse che ci sono e libertà organizzativa maggiore. Diversamente, perdiamo opportunità di curare in maniera migliore i nostri cittadini: è così che affonda il sistema. Vanno lasciate sperimentare le regioni che possono farlo perché poi le sperimentazioni possano diventare patrimonio pubblico”.

 

“Siamo in un equilibrio di bilancio ormai storico, vogliamo meno ospedale e più territorio: perché allora – ha affermato Sergio Venturi – dobbiamo avere vincoli di assunzioni legati a tetti e blocchi? La cronicità fa a pugni con la cultura dell’ospedale e si deve lasciare chi può di essere libero di poter sviluppare nuovi sistemi. Se le risposte che cerchiamo ci venissero date per mezzo del Patto della salute, potrebbe diventare perfino inutile chiedere l’autonomia differenziata. Noi crediamo nel Ssn, siamo diventati bravi sempre restando nell’ambito dei confini del Ssn. L’unico modo per progredire è lavorare insieme, non c’è un’altra strada: non si deve avere la preoccupazione che questo possa essere un indietreggiamento del sistema, nessuno ci pensa. Se le risposte che cerchiamo ci venissero date per mezzo del Patto della salute – ha concluso -, potrebbe diventare perfino inutile chiedere l’autonomia differenziata”.

 

“Il vero pericolo che vedo  – ha affermato al seminario Tiziana Frittelli, presidente dei Federsanità ANCI, la Federazione che rappresenta aziende sanitarie e Comuni – è quello dell’asimmetria attrattiva. Con migliori servizi, le entrate in sanità delle regioni più efficienti cresceranno anche grazie alla mobilità passiva, che peggiorerà l’indebitamento del Sud. Il mondo sanitario non è un mondo chiuso. Il fatto di poter contare su maggiori servizi, più bassa compartecipazione alle spese, più numerosi e meglio remunerati e, dunque, professionisti motivati, migliori situazioni strutturali degli ospedali e un parco tecnologico più innovativo, farà sì che le regioni che possono avere maggiori disponibilità di strumenti godranno degli effetti di una asimmetria attrattiva, sia per i professionisti che i pazienti, ancora maggiore di quella attuale”.

 

“Chiariti i percorsi – ha concluso Mangiacavalli – direi che questa giornata è per gli infermieri, ma non solo, -la prima pietra di un nuovo modello nel solco del mantenimento del livello di solidarietà e universalità necessari a garantire l’erogazione dei Lea uguale per tutti, cosa che paradossalmente oggi col sistema attuale, come abbiamo visto precedenti, stenta a realizzarsi”.