Il futuro della professione alla luce della legge di Bilancio. Istituzioni e Parlamentari a confronto

La politica e la programmazione sono vicine agli infermieri.

La testimonianza è arrivata dal Forum Risk Management di Arezzo, dove la FNOPI ha organizzato un tavolo sulla legge di Bilancio 2022 al quale sono intervenute figure chiave dell’organizzazione e della programmazione sanitaria e numerosi deputati e senatori.

Tema guida: “Il futuro della professione infermieristica alla prova della legge di Bilancio”. E il filo rosso che ha guidato il dibattito sono stati i due emendamenti alla legge che la Fnopi appoggia e che sono stati presentati – e segnalati tra i 600 all’esame del Parlamento dopo la scrematura dei 6000 presentati – da numerosi senatori: quello sull’aumento dei docenti infermieri all’università e quello, aspettando il contratto, dell’assegnazione dell’indennità di specificità infermieristica prevista dalla legge di Bilancio 2021, ma ancora non assegnata agli infermieri che intanto proseguono la loro attività per i pazienti Covid e non-Covid.

“Abbiamo lavorato molto con i ministeri della Salute e dell’Università e abbiamo bisogno di fare un investimento sulla nostra professione sia per quanto riguarda la formazione in generale per avere i numeri necessari al PNRR che per i docenti indispensabili a formarli. Ovviamente non manca il tema dei finanziamenti che pure essendo presenti nel PNRR e nella legge di Bilancio cominciano a essere ipotecati da numerose istanze del Ssn”, ha spiegato in premessa la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli.

La prima risposta è arrivata da Angela Adduce, direttore generale della Ragioneria generale dello Stato (ministero dell’Economia) che ha sottolineato come non siano certo le risorse il problema, visti i finanziamenti che la sanità ha ottenuto di quasi 20 miliardi, senza contare il PNRR.

Le risorse non mancano. Ciò che è importante semmai è riuscire a declinarle nel modo migliore.

“Abbiamo visto un finanziamento mai avuto prima, con un riconoscimento particolare ai professionisti. Giusta invece la questione di formarli nel miglior modo possibile, abbattendo gerarchie e vincoli e per gli infermieri è necessario che il numero sia sufficiente a far fronte alle norme che si dispiegheranno”, ha detto.

Attenzione ai numeri quindi, ma anche alle responsabilità, secondo il DG della RGS, che aumentano e al di là delle disponibilità economiche “illimitate” come le ha definite Angela Adduce, devono essere portate all’altezza ed essere rese compatibili col nuovo modello che si sta disegnando.

Scarsità della risorsa formata quindi, tipologie contrattuali che devono essere più flessibili di quelle oggi proprie del Ssn sono i nodi messi in risalto dalla DG, da sciogliere per garantire l’esistenza stessa del servizio.

A farle eco il direttore generale della programmazione del ministero della Salute, Andrea Urbani.

“Alcuni dati – ha detto – come premessa: in qualche mese siamo passati da 114 miliardi a 124 miliardi di finanziamento e con la legge di Bilancio arriveremo a 128 miliardi. Un investimento mai fatto prima e nel solo 2020 sono stati dati 3 miliardi al personale, prorogati nei due anni successivi.

Non sono mancate le risorse quindi, ma c’è stata scarsa capacità del sistema finora di cogliere tutto questo. Il motivo sono programmazioni non perfettamente idonee degli anni passati, quando il personale necessario non si è trovato”.

“Ora grazie al PNRR stiamo definendo standard per il territorio che non esistevano prima. Il documento è sostanzialmente pronto. Questo sarà finalmente il faro cui devono tendere le Regioni per realizzare un modello di sanità territoriale anche con la previsione di standard di personale: la sensibilità alla risorsa umana c’è.  Cosa manca? La riflessione più importante va fatta sulla componente formativa necessaria per dotare il sistema di risorse professionali con tempistiche coerenti con i nostri fabbisogni, in quantità e qualità. Dovremmo individuare intanto soluzioni ponte, è chiaro, che ci consentano di far fronte ai bisogni durante il periodo necessario alla formazione e anche su questo stiamo ragionando, basandoci appunto sul presupposto che il problema vero non sono le risorse economiche, ma i professionisti da reperire”.

Per Urbani vanno anche ammodernati i modelli organizzativi e le competenze secondo quelli internazionali: l’Italia ha un numero più basso di personale del comparto rispetto al resto d’Europa, dove le competenze sono più evolute rispetto a quelle che si osservano nel nostro Ssn.

“Abbiamo tutti gli ingredienti: dobbiamo cercare di tirare le somme con una programmazione oculata che tenga presente tutte queste evidenze di quantità, ma anche di qualità e responsabilità”, ha concluso.

Anche deputati e senatori sono stati tutti d’accordo: senza le professioni sanitarie, senza gli infermieri nello specifico, il Ssn non può tenere il passo e il livello che merita. Si è visto durante la pandemia e la volontà dei professionisti è stata in grado di far fronte all’emergenza, ma ora tutto questo deve trasformarsi in normalità, non più eccezionalità.

Gli interventi dei deputati Rossana Boldi, Federico Conte, Elena Carnevali e dei senatori Patrizio Giacomo La Pietra, Elisa Pirro, lo hanno confermato. E hanno aggiunto che purtroppo ci si è resi conto dell’importanza del territorio solo con la pandemia ed è li che le figure infermieristiche e le professioni sanitarie possono portare il loro massimo contributo.

Infermiere di famiglia e comunità équipe multidisciplinari dove non deve esserci alcuna gerarchizzazione tra professioni – all’incontro Luigi Pais dei Mori, componente del Comitato centrale Fnopi ha ricordato che ad esempio la giurisprudenza non riconosce una o l’altra professione, riconosce la sostanza della responsabilità – sono un modello fondamentale per dare un aiuto reale ai pazienti.

Grande presenza di fondi quindi, soprattutto nel PNRR, ma con una sproporzione sottolineata dai parlamentari, tra quelli dedicati alle strutture e quelli dedicati a ciò che manca di più: personale, formazione, ricerca e innovatività.

Il riferimento dei parlamentari è stato anche ai docenti infermieri, sottolineando che i numeri scarsi di questi rappresentato, come ha evidenziato FNOPI, un vero problema.

E c’è un altro problema, quello delle retribuzioni: gli infermieri si formano nel servizio pubblico, poi se ne vanno all’estero o nel privato dove hanno sicuramente maggiori soddisfazioni da questo punto di vista, cosa che non deve più essere e deve cambiare.

Alcune critiche da parte dei politici sono state anche per il diverso meccanismo con cui le Regioni affrontano la sanità, creando spesso situazioni che connotano cittadini di serie A e di serie B, cosa che deve cambiare e non deve essere più possibile.

C’è un rilancio della domanda della professione infermieristica, ma potrebbero mancare gli infermieri, hanno detto i parlamentari.

Soluzioni immediate non ce ne sono, ma nel medio lungo periodo ci sono nuove figure, nuovi ruoli, come quello dell’infermiere di famiglia e comunità, che parlano di prossimità, di territorio, con funzioni non solo assistenziali, ma socioassistenziali. E anche i parlamentari hanno evidenziato come l’esclusiva sia da rivedere, così come siano da ristrutturare le retribuzioni.

La professione dell’infermiere assume un ruolo di unione tra comunità e istituzioni e per questo va resa più attrattiva, con percorsi di carriera, retribuzioni, diverse responsabilità e compiti che sottolineino la professionalità ormai indiscussa di questi professionisti, è stato un pensiero comune.

Il cosiddetto “DM 71“ lo dice chiaramente e chiaramente pone gli infermieri su un diverso piano rispetto alle altre professioni, evidenziando la necessità di rivedere il sistema di rapporti interprofessionali.

“Legge di Bilancio e PNRR sono grandi occasioni e per questo abbiamo voluto presentare le priorità che in questi giorni hanno confermato anche sindacati, associazioni di cittadini-pazienti e chiunque nella sua vita abbia a che fare con gli infermieri”, ha sottolineato il vicepresidente FNOPI, Cosimo Cicia.

Aggiungendo: “Abbiamo voluto fortemente questo incontro perché è una grande occasione che ci carica anche di responsabilità: per la prima volta ci sono i fondi necessari e dobbiamo saperli usare. Il nostro obiettivo è chiarire le esigenze degli infermieri. Ma non doveva essere necessaria la pandemia per metterle in evidenza e probabilmente qualcuno è stato precedentemente ‘distratto’”.

“La necessità – ha spiegato – è di un infermiere sempre più specializzato (oggi alla laurea magistrale accede solo il 6% dei laureati) e siamo felici che i nostri interlocutori l’abbiano confermata. Poi stabilizzazione sì per il gran numero di professionisti chiamati durante Covid, ma non sanatoria. Tuttavia – ha detto ancora – anche stabilizzando quelli che hanno lavorato durante la pandemia, gli infermieri non bastano. Di infermieri di famiglia e comunità, ad esempio, ne sono stati chiesti 9600 col decreto rilancio, ma più di 3000 non se ne sono trovati e ora nel progetto per il territorio se ne chiedono oltre 23mila”.

“Lo slogan è: il problema sono le risorse, ma c’è bisogno anche di qualità – ha detto la presidente commentando la giornata -. I modelli vanno ripensati, così come i paradigmi, le funzioni e le responsabilità. La FNOPI ha fatto proposte per il periodo di transizione e si è dichiarata ufficialmente disponibile a studiarli e dibatterli col Governo: dallo scioglimento del vincolo di esclusività alla revisione dei modelli extraospedalieri, senza cercare competenze diverse o estere per compensare in modo improprio la carenza di infermieri”.

Giudicando positive le riflessioni sulla formazione, Mangiacavalli ha ricordato anche che la Federazione sta tracciando una strada futura, almeno per i prossimi 5-10 anni. “La domanda giusta è dove vogliamo vedere gli infermieri – ha detto – sia dal punto di vista della formazione che dell’esercizio professionale. La nostra formazione è in università da più di 20 anni, ma abbiamo un corpo docenti del settore MED/45 di circa 40 unità e questo vuol dire una professione ogni 1350 studenti, mentre altri corsi di laurea ne hanno uno ogni 6.

“Il problema – ha proseguito – non è solo la quantità, ma anche la qualità, soprattutto per l’insegnamento clinico, le fondamental care che appartengono alla formazione infermieristica. Formare significa farlo secondo la disciplina infermieristica che per definizione ha come sua caratteristica la presa in carico dell’assistito, la relazione di cura con l’assistito. Dobbiamo qualificare il nostro corpo docenti, solo così possiamo chiedere all’università di formare più infermieri”.

Altro aspetto sottolineato dalla presidente è la ormai scarsa attrattività della professione. “Abbiamo avuto – spiega – 1,3 domande per ogni posto messo a bando, ma in alcune Regioni non sono stati nemmeno coperti i posti disponibili. I motivi – ha aggiunto – sono tanti e sicuramente l’aspetto economico fa la sua parte. Ma c’è un altro aspetto: la nostra professione non ha più sviluppo di carriera. E non mi riferisco a quella manageriale, parlo della carriera di tipo clinico specialistico. Per questo specializzazioni e laurea magistrale devono camminare insieme”.